IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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Con questo libro Marco La Rosa ha vinto il
PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO
ALTIPIANI DI ARCINAZZO 2014
* MISTERI DELLA STORIA *

con il patrocinio di: • Associazione socio-culturale ITALIA MIA di Roma, • Regione Lazio, • Provincia di Roma, • Comune di Arcinazzo Romano, e in collaborazione con • Associazione Promedia • PerlawebTV, e con la partnership dei siti internet • www.luoghimisteriosi.it • www.ilpuntosulmistero.it

LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

lunedì 26 settembre 2016

OOPART: L’ENIGMA DEL MANUFATTO IN ALLUMINIO PROVENIENTE DAL PLEISTOCENE


Nel 1974, ad un paio di chilometri dalla città di Aiud, Romania, nel corso di uno scavo sulle rive del fiume Mures, un gruppo di operai edili incappò in alcuni fossili di mastodonti. Accanto ai fossili, i lavoratori trovarono anche uno strano oggetto, un misterioso manufatto in metallo. Ecco la controversa storia del cosiddetto manufatto di Aiud.
 A circa 10 m di profondità, i lavoratori trovarono alcuni fossili di mastodonti, vissuti durante il pleistocene, più un misterioso oggetto metallico ricoperto da uno strato di ossido di alluminio. In un primo momento, il reperto sembrava essere un semplice roccia, ma dopo aver rimosso la spessa crosta di sabbia dalla superficie, gli operai intuirono che non poteva trattarsi di un oggetto naturale, piuttosto quanto qualcosa si prodotto artificialmente, dato che aveva delle caratteristiche molto precise.


L’oggetto, dal peso di circa 5 kg, presentava una lunghezza di 20,2 cm, una larghezza di 12,7 cm e uno spessore di 7 cm, con una depressione circolare al centro dal diametro di circa 4 cm. Un altro piccolo foro del diametro di circa 1,7 cm, si presentava su uno dei lati dell’oggetto perpendicolarmente alla depressione centrale. Infine, due lembi sporgenti sembravano aver ospitato una specie di cardine. Gli operai portarono il manufatto al Museo di Storia della Transilvania, dove fu posto in un deposito rimanendo dimenticato per quasi 20 anni, senza che nessuno avesse mai pensato di compiere delle analisi. Finché, nel 1995, non fu “riscoperto” e sottoposto ad approfondite analisi. I primi esami chimici per determinarne la composizione furono eseguiti in due laboratori distinti: quello dell’Istituto Archeologico di Cluj-Napoca, e uno a Losanna, in Svizzera. Entrambe le strutture giunsero a conclusioni analoghe: l’oggetto risultava composto principalmente di alluminio (89%), più altri 11 metalli minori. I ricercatori rimasero un po’ sconcertati dai risultati delle analisi, dato che l’alluminio allo stato puro non si trova in natura (viene estratto dalla bauxite), e la tecnologia necessaria per creare qualcosa di così puro è diventata disponibile solo a partire dalla metà del 19° secolo. Per la produzione dell’alluminio è necessario un complicato processo industriale di elettrolisi e temperature superioei ai 900° C. La datazione del sottile strato esterno di ossidazione che copriva il blocco di alluminio restituiva una data di 400 anni. Tuttavia, lo strato geologico in cui fu trovato l’oggetto corrispondeva all’era del Pleistocene, circa 20 mila anni fa. Un nuova analisi metallurgica fu compiuta successivamente dal dottor Florin Gheorghita, presso l’Istituto per lo Studio del Metalli e di Minerali Non Metalliferi, con sede a Magurele, Romania. L’esame rivelò che l’oggetto è composto da una lega di metallo estremamente complessa. Si riscontrarono 12 elementi diversi, di cui Gheorghita è riuscito a stabilire anche le percentuali:

alluminio (88,1%), rame (6,2%), silicio (2,84 %), zinco (1,81%), piombo (0,41%), stagno (0,33%), zirconio (0,2%), cadmio (0,11%), nichel (0,0024%), cobalto (0,0023%), di bismuto (0,0003%), argento (0,0002%) e gallio (in tracce).

Dunque, di cosa si tratta?

Come riporta la versione inglese di Epoch Time, nonostante si sia ottenuta la precisa composizione chimica dell’oggetto, la comunità scientifica non si è espressa sulla natura, quindi il reperto di Aiud rimane un enigma. Tuttavia, alcuni ricercatori sono convinti che si tratti di un oggetto artificiale, parte di uno strumento più grande prodotto da una civiltà antica perduta che era riuscita a produrre alluminio di notevole purezza centinaia, o addirittura migliaia, di anni prima rispetto all’epoca moderna, mentre i Teorici degli Antichi Astronauti si arrischiano a suggerire che si tratti addirittura di un componente di un antico velivolo spaziale.


La forma, infatti, ricorderebbe quella di un supporto di un modulo di esplorazione spaziale, simile alla parte finale della sonda Viking o del modulo lunare delle missioni Apollo. Secondo questa ipotesi, l’oggetto sarebbe parte di una sonda aliena staccatosi a seguito di un atterraggio piuttosto violento. In entrambi i casi, sia l’analisi dello strato esterno di ossidazione che lo strato geologico in cui è stato trovato non riescono a spiegare adeguatamente come un oggetto tecnologicamente così avanzato sia potuto esistere in un’epoca così remota.

DA:


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mercoledì 21 settembre 2016

Le proteine disordinate: cade (ufficialmente ?) un dogma della biologia… …in realtà già caduto da un pezzo …



SEGNALATO DAL DR. GIUSEPPE COTELLESSA (ENEA)

Questa “evidente” anomalia ha retto per un secolo e più, ed è la forma che conferisce alle proteine le loro funzioni. Ora, rileva Nature, è stato definitivamente infranto.

Le proteine sono catene (macromolecole, le chiamano i chimici) costituite da lunghe sequenze di 21 diversi tipi di amminoacidi (i singoli anelli). Le proteine sono le “molecole della vita”, le operaie della biologia: assolvono a tutti gli infiniti compiti necessari a far quella fabbrica biologica che è la cellula. Gli enzimi, per esempio, sono proteine capaci di accelerare di milioni di volte la velocità di una reazione chimica. Le immunoglobuline, invece, sono proteine capaci di riconoscere e legarsi a un “corpo estraneo”. Le proteine di trasporto, per esempio, fanno da taxi a molte altre molecole. E quelle strutturali, costituiscono l’impalcatura di molte componenti biologiche. Ebbene, il dogma – uno dei due grandi dogmi, ormai un po’ ammaccati, della biologia – è che la funzione di ogni proteina è strettamente associata alla sua struttura. Ovvero alla forma che assume in quello spazio tridimensionale particolare che è l’ambiente cellulare. Questo dogma è vecchio di almeno un secolo. Da quando, cioè, pur non conoscendone ancora l’intima natura chimica, Hermann Emil Fischer ipotizzò il meccanismo «toppa-chiave».

“Hermann Emil Fischer (Euskirchen, 9 ottobre 1852 – Berlino, 15 luglio 1919) è stato un chimico tedesco, fra i principali fautori al progresso della Biochimica e della Chimica organica classica. Tra i suoi più importanti contributi alla chimica ci sono la determinazione della struttura del glucosio, la “sintesi dell’indolo” (Indolsynthese) di Fischer (1883) e la formulazione del “principio della serratura” Key-lock principle -1894, l'idea di base è che ci sono diverse sostanze che devono essere assemblate in un determinato modo, come la chiave con la serratura; un esempio è dato dall'insieme enzima-substrato”.

La funzione di una proteina che accelera, per esempio, una reazione dell’acqua è associata alla capacità di formare uno stampo negativo tridimensionale (la toppa) della forma tridimensionale che ha l’acqua (la chiave). Questa struttura è rigida e precisa. Senza questa struttura tridimensionale la proteina non ha alcuna funzione. Per un secolo e più questo dogma ha funzionato. I biochimici hanno ricostruito, con brillanti e solidissimi lavori di cristallografia, le strutture tridimensionali funzionali di tutte le proteine note. Fino ad assumere che non poteva esserci proteina senza una funzione e che non ci poteva essere funzione senza struttura tridimensionale rigida. Ma è come aver cercato – è il caso di dirlo – la chiave smarrita sotto il lampione, solo perché lì c’è la luce. La cristallografia consente di rilevare proteine funzionali solo se hanno una rigida forma. Così si sono studiate solo proteine con una struttura rigida. Pensando che fossero le uniche possibili. Ora questo dogma, rileva Nature nel suo ultimo numero, è stato definitivamente infranto. Nel corso degli ultimi anni sono emerse evidenze che ci sono molte “proteine disordinate”, che hanno capacità funzionali pari a quelle delle “strutturate”, sebbene non assumano nell’ambiente cellulare una forma rigida. Queste proteine – ha dimostrato un giovane postdoc, Kenji Sugase, collaboratore di Peter Wright, tra i pionieri dello studio delle proteine disordinate allo Scripps Research Institute di La Jolla, in California, sembrano agire come una “toppa intelligente”. Ovvero scoprono la chiave cui sono interessate e vi si conformano, assumendo la struttura della toppa più adatta. I biochimici hanno classificato, a tutt’oggi, 600 proteine disordinate dotate di funzioni. Appena l’1% delle proteine note. Ma si dicono convinti che esse costituiscano almeno un quarto dell’universo proteico. E che le troveremo non appena ci allontaneremo dal lampione e inizieremo a cercarle, con sistematicità, dove il mondo magari è al buio ma brulica di attività.

Se hanno ragione, ancora una volta la biologia studiata a livello molecolare ci insegna che l’universo della vita non si lascia irreggimentare in schemi fissi, ma ha le sue principale caratteristiche nella diversità. La vita non si lascia chiudere in locali angusti, ma ama esplorare tutto lo spazio delle possibilità.

da:

COMMENTO ALLA NOTIZIA:

Come molto spesso accade, il sensazionalismo cerca di impressionare sempre coloro che non sono costantemente informati o non precisamente padroni della materia sulla quale si discute. Questo è uno dei casi. Vi potrei annoiare con numerosi ed esaustivi esempi per “informarvi” che questa è una “non notizia” oppure una cosa ormai risaputa ed un pochino … “scomoda”…

…ma preferisco dirvi che se vorrete, potrete leggere un esaustivo capitolo, proprio su questo argomento, nel mio ultimo libro (scritto a quattro mani  insieme con il Dr. Giorgio Pattera) dal titolo: IL PRINCIPIO DELL’IMMORTALITA’, neo-eso-biologia, il capitolo è il n. 26 e titola: “Tutto questo è strettamente correlato al vincolo planetario?” da pag. 90 a pag. 97.

…per chi vuole: Buona Lettura.

Marco La Rosa







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venerdì 16 settembre 2016

CELLULE STAMINALI E MEDICINA RIGENERATIVA: UN SOGNO REALIZZABILE ?


SEGNALATO DAL DR. GIUSEPPE COTELLESSA (ENEA)

A Milano la prima riparazione dei bronchi con cellule staminali.

L’Italia si è aggiudicata un altro primato: in un quarantenne colpito da un tumore polmonare è stata ottenuta la completa guarigione di una fistola bronchiale. Lo studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine, è stato condotto dall’Ieo (Istituto Europeo di Oncologia) con l’ateneo Statale e la Cell Factory della Fondazione Policlinico di Milano. Si tratta del “primo caso mai realizzato di riparazione del tessuto bronchiale con staminali – spiegano i medici – che decreta in modo definitivo il passaggio dal laboratorio alla clinica di queste cellule studiate ovunque nel mondo per il loro potere di rigenerarsi nei tessuti in cui sono trasferite”.

Di seguito la spiegazione tecnica di quanto realizzato ma prima una doverosa premessa:

In questo particolare tipo di trapianto sono state usate cellule staminali MESENCHIMALI:

“Una cellula staminale mesenchimale (CSM; in inglese: MSC, Mesenchymal stem cell) è un tipo di cellula staminale adulta, immatura e indifferenziata. Le cellule staminali mesenchimali hanno origine dal mesoderma, il foglietto embrionale della blastocisti tra ectoderma e endoderma. Questo foglietto genera linee tessutali per lo più connettivali: a differenza delle cellule staminali embrionali, fetali o della placenta, questo tipo cellulare, essendo in una fase adulta, non è totipotente (ossia generatore di tutte le linee cellulari del corpo) ma pluri/multipotente, ossia può solo generare tipi di cellule connettivali e non altri tessuti di diversa derivazione embrionale (come neuroni od epiteli)”.

 “Abbiamo prelevato cellule staminali adulte mesenchimali dal midollo osseo del paziente – illustra Petrella – un giovane di 42 anni sottoposto all’asportazione del polmone destro per mesotelioma pleurico”, tumore noto alle cronache per i suoi legami con l’esposizione alle fibre d’amianto. “Le abbiamo espanse e poi inoculate tramite una metodica mininvasiva, la broncoscopia flessibile, nell’area del bronco dove si era creata una fistola post-chirurgica, una sorta di ferita aperta tra il bronco e il cavo pleurico, dovuta alla mancata cicatrizzazione fisiologica che normalmente avviene dopo la chirurgia. La metodica si è rivelata efficace nello stimolare la cicatrizzazione del bronco, evitando così altri interventi invalidanti. Oggi, a 8 mesi dal trapianto di staminali, il paziente sta bene e non ha avuto recidive”.

“Per quanto a oggi conosciamo sulle cellule staminali mesenchimali – continua Petrella – sappiamo che sono in grado di migrare ed attecchire nelle aree di infiammazione e di danno ai tessuti. Una volta impiantate nel sito bersaglio da curare, nel nostro caso la fistola bronchiale, le staminali mesenchimali hanno la capacità di instaurare un contatto con il microambiente cellulare circostante, fenomeno definito in termini tecnici “cross-talk”, che consente un processo di riparazione e/o rigenerazione, con graduale ripristino delle funzioni danneggiate”.


Fino ad oggi la chirurgia del settore  è intervenuta su pazienti già debilitati  a seguito della chirurgia con tecniche invalidanti che non sempre regalano una certa qualità della vita. Avere dimostrato che le cellule staminali adulte possono determinare una riparazione naturale, oltre che un contributo notevole nelle tecniche di trapianto del tronco e della trachea è una vittoria senza precedenti, considerando che il trapianto con cellule staminali non crea rigetto. Ma questo è solo un punto di partenza considerando che il nuovo obiettivo dei ricercatori è quello di affermare tale innovazione scientifica nell’ambito della pratica clinica.

Non sarà un iter breve perché serviranno ulteriori approfondimenti e protocolli sperimentali prima che la pratica prenda piede, diventando un modello da seguire e con l’intenzione di espandere la tecnica appena utilizzata anche su altri distretti anatomici.

Da:

http://www.meteoweb.eu/2015/01/cellule-staminali-medicina-rigenerativa-sogno-si-realizza/378848/

PER APPROFONDIMENTO LEGGI:






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martedì 13 settembre 2016

I MISTERI DI PARMA: STORIE INSOLITE E SCONOSCIUTE DELLE TERRE PARMENSI


I MISTERI DI PARMA – VOLUME SECONDO

STORIE INSOLITE E SCONOSCIUTE DELLE TERRE PARMENSI…





Dalla presentazione di Marco La Rosa del 5 Settembre 2016 alle Librerie Feltrinelli di Parma…


“…DUNQUE STORIE CHE CONTENGONO OLTRE “IL MISTERO”, PERSONAGGI CONOSCIUTI , POCO CONOSCIUTI ED ADDIRITTURA SCONOSCIUTI AI PIU’. CONTIENE LA PREISTORIA, LA STORIA, L’ARCHEOLOGIA E L’ARTE NELLE SUE PIU’ VARIE FORME. E’ DUNQUE UN CONDENSATO DI QUESTA TERRA CHE CALPESTIAMO TUTTI I GIORNI, QUASI SEMPRE IGNARI DI CIO’ CHE E’ STATO PRIMA DI NOI. E’ IL SUCCO DI UN’INDENTITA’ CULTURALE, PASSATEMI LA CITAZIONE: “CHE SI STA PERDENDO COME LACRIME NELLA PIOGGIA”, E QUESTO…LO POSSIAMO CONSTATARE PIAN PIANO QUOTIDIANAMENTE. QUESTE STORIE, ANCHE INTROSPETTIVE NELLE QUALI PERSONALMENTE MI SONO SPECCHIATO, LO DEVO AMMETTERE, MI HANNO COINVOLTO EMOTIVAMENTE, E MOLTE VOLTE, HANNO RIEVOCATO  “SENSAZIONI OLTRE CHE RICORDI”, AD ESEMPIO DI RAGAZZO QUANDO IN ESTATE FACEVO LUNGHE CAMMINATE SUL NOSTRO APPENNINO…HO RIPERCORSO QUEI LUOGHI COME SE CI FOSSI DENTRO…MA QUESTA VOLTA …HO VISTO E SENTITO CIO’ CHE IN PRECEDENZA NON AVEVO NOTATO… E NON SOLO…QUESTO LIBRO (QUESTI DUE LIBRI) SONO DUNQUE COME L’AMPOLLA CHE RACCOGLIE LE NOSTRE LACRIME, LA NOSTRA IDENTITA’. PERCHE’ PER SCRIVERE UN LIBRO, CHE SIA UN SAGGIO O UN ROMANZO, BISOGNA NECESSARIAMENTE SCRIVERE DI SE STESSI E A SE STESSI, COME IN UN DIARIO. BISOGNA NECESSARIAMENTE RINUNCIARE A QUELLA PRIVACY CHE CI RENDE “ASETTICI” ED “IMPERMEABILI” AGLI ALTRI, SE NON LI FACCIAMO ENTRARE DENTRO …NON CI LEGGERANNO MAI E MAI ACQUISIRANNO CIO’ VOGLIAMO TRASMETTERE…”



Il Saggio di Stefano Panizza è “sorretto” da una narrazione scorrevole e piacevolmente romanzata, non mancano DUNQUE tratti introspettivi che rivelano sicuramente una buona dote letteraria. Questo fa si che il lettore si appassioni… insomma voglia assolutamente vedere come vanno a finire le numerose vicende narrate che però, in molti frangenti, sono lasciate… incomplete? Forse il termine non è appropriato, infatti l’autore ha volutamente conservato “qualcosa” per un’altra volta … un altro libro… ma invita (anche) espressamente il lettore ad andarsi a cercare, zaino in spalla, ciò che manca o ciò che desidera…



sabato 10 settembre 2016

SEGNALI DALLO SPAZIO: IL CASO "RATAN - 600"


SEGNALATO DAL DR. GIORGIO PATTERA (eso-Biologo)

Spazio, segnale sospetto da 95 anni luce: "Al lavoro per scoprire se sono gli alieni"

Captato da un radiotelescopio russo nella costellazione di Ercole, ha fatto partire la caccia da parte del Search for Extra-Terrestrial Intelligence Institute. Ma c'è chi invita alla prudenza: potrebbe essere una quasar.



“Un quasar (contrazione di QUASi-stellAR radio source, radiosorgente quasi stellare) è un nucleo galattico attivo estremamente luminoso e generalmente molto distante dalla Terra (dell'ordine dei miliardi di anni luce). Il nome deriva dal fatto che questi oggetti, la cui natura è stata controversa fino ai primi anni ottanta, furono inizialmente scoperti come potenti sorgenti radio, la cui controparte ottica risultava puntiforme come una stella. Il grande spostamento verso il rosso che caratterizza i quasar, in accordo con la legge di Hubble, implica che siano oggetti molto distanti e che quindi debbano emettere energia equivalente a centinaia di normali galassie. Si ritiene comunemente che tale grande luminosità sia originata dall'attrito causato da gas e polveri che cadono in un buco nero supermassiccio; essi formano un disco di accrescimento, che converte circa la metà della massa di un oggetto in energia. Il termine QUASAR è stato coniato nel 1964 dall'astrofisico Hong-Yee Chiu”.


E' arrivato dallo spazio un segnale radio "sospetto", di grande intesità e, al momento, senza alcuna spiegazione astrofisica. Tanto da far sperare ai cacciatori di vita extraterrestre che possa trattarsi di un messaggio alieno. La scoperta in realtà risale al 15 maggio 2015, quando un radiotelescopio russo, il Ratan-600 ai piedi dei Monti del Caucaso, ha captato una onda elettromagnetica proveniente da una stella (nome in codice HD164595) nella costellazione di Ercole e a 95 anni luce di distanza dalla Terra. La stella in questione è grande quasi quanto il nostro Sole ed ha almeno un pianeta che le ruota intorno, grande come Nettuno e con un anno della durata di circa 40 giorni terrestri. Tuttavia la sua orbita è molto schiacciata, con passaggi alternativamente molto ravvicinati e molto lontani dall'astro poco compatibili con lo sviluppo di esseri viventi.  Non è escluso però che intorno a HD164595 orbitino altri pianeti, più adatti ad ospitare forme di vita e forse vita intelligente, capace di raggiungere uno sviluppo tecnologico tale da consentire l'invio di potenti messaggi nello spazio profondo. Irritati gli scienziati del Search for Extra-Terrestrial Intelligence Institue (Seti). "Sono scioccato dall'averlo saputo un anno dopo" ha detto al Guardian Seth Shostak, della sede principale del Seti a Mountain View, in California. "La prassi consolidata nella nostra comunità è che appena si capta un segnale interessante si condividono le informazioni con gli altri in modo da poter puntare altri radiotelescopi nella zona di cielo in questione". Lo stesso Seti avanza dubbi sull'intensità del segnale registrato dai russi. Se è davvero quella, spiegano gli eredi di Carl Sagan, le possibilità sono due: o gli alieni di HD164595 hanno inviato il messaggio in tutte le direzioni e allora per trasmetterlo avrebbero avuto bisogno di una potenza di 100 miliardi di miliardi di Watt (centinaia di volte l'energia che il Sole irraggia verso la Terra), oppure hanno scelto di inviarlo solo in direzione del nostro pianeta, ma anche in questo caso avrebbero avuto bisogno di una energia paragonabile a quella usata da tutto il genere umano. Entrambi gli scenari, sottolineano gli esperti del Seti, richiedono uno sforzo tecnologico ben superiore di quello di cui saremmo capaci noi terrestri. A diffondere la notizia tra la comunità internazionale è stato un astrofisico italiano, Claudio Maccone dell'Istituto nazionale di astrofisica e presidente del comitato Seti all'interno dell'Accademia internazionale di astronautica. "Dal 2014 lavoro perché anche gli scienziati russi possano dare il loro contributo al programma Seti" racconta Maccone. Il risultato è un accordo che prevede l'uso del radiotelescopio Ratan 600 per "ascoltare" eventuali messaggi alieni. Ma perché una volta registrato il segnale ci hanno messo tanto a rendere pubblica la notizia? "I russi sono timidi e ancora un po' isolati dal resto della comunità scientifica" risponde Maccone. "Tuttavia a settembre ci sarà un congresso in Messico e io li ho sollecitati a partecipare presentando i loro risultati". A parte l'irritazione per l'anno di ritardo, Maccone sottolinea che un primo traguardo è stato raggiunto: "Ora anche gli americani hanno puntato i loro radiotelescopi verso HD164595 e finalmente ci sarà una vera collaborazione tra statunitensi e russi anche nella ricerca di intelligenze extraterrestri. Non solo: dal 21 settembre sarà operativo il più grande e potente radiotelescopio mai costruito, il Fast realizzato dai cinesi ed esteso come 30 campi di calcio. Coinvolgere anche Pechino nel progetto Seti sarà il prossimo passo". Per ora, nonostante un anno di ulteriori indagini, da HD164595 non sembra essere arrivato alcun altro segnale. Né gli apparati del Seti messi in moto nelle ultime ore hanno captato alcunché. L'onda registrata dai russi è sospetta perché ha una potenza anomala per i segnali astrofisici. E anche la frequenza, circa 11 gigahertz, somiglia più a quella dei segnali tv che alle emissioni di un corpo celeste. "La maggior parte degli astrofisici" conclude Maccone "è convinta che ci sia una spiegazione naturale o che si tratti di una interferenza terrestre. Ma è giusto esplorare tutte le possibilità, compresa quella di una civiltà aliena". La caccia, infatti, è aperta e c'è già chi sogna di interloquire a intervalli di 95 anni (il tempo che la luce impiega ad arrivare dalla Terra alla stella e viceversa) con gli alieni. E c'è da aspettarsi che in futuro ricerche del genere si moltiplicheranno visto il proliferare di pianeti gemelli della Terra che si stanno avvistando nello Spazio. Ultimo in ordine di tempo quello che ruota intorno a Proxima Centauri, la stella più vicina a noi: appena 4 anni luce. Se lì ci fosse davvero ET fare "due" chiacchiere richiederebbe otto anni e non due secoli.

LA POSIZIONE UFFICIALE (UFFICIOSA ?) DEGLI ASTRONOMI RUSSI:


Altro che extraterrestri. Il segnale 'anomalo' captato dal radiotelescopio russo Ratan-600 è ''molto probabilmente di origine terrestre''. Ad affermarlo sono gli esperti dell'Osservatorio astrofisico speciale dell'Accademia russa delle scienze (Sao-Ras), che hanno deciso di esprimere ufficialmente la loro posizione dopo il clamore suscitato sui media di tutto il mondo. Il segnale, proveniente dalla stella HD 164595 nella costellazione di Ercole, era stato captato nel maggio del 2015, ma era stato reso noto solo recentemente a livello internazionale dall'italiano Claudio Maccone, che aveva assistito a una conferenza degli astronomi russi. La notizia, immediatamente rimbalzata sul web e rilanciata in Italia dal profilo Facebook dell'astronauta Umberto Guidoni, aveva fatto sognare gli appassionati di Ufo e fantascienza, mentre aveva lasciato perplessi gli esperti del programma Seti per la ricerca di intelligenza extraterrestre. Ora anche gli astronomi russi cercano di riportare tutti alla realtà, affermando che ''il successivo processamento e le analisi del segnale hanno rivelato la sua origine molto probabilmente terrestre''. ''Così come per altre cose rilevate nel programma Ratan-600, è ancora troppo presto per parlare di risultati scientifici affidabili'', scrivono gli esperti russi in una nota. ''Si può dire con sicurezza che non sono ancora state trovate evidenze''.

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mercoledì 7 settembre 2016

ITALIA - Finalmente di cancro non si muore più! E gli inglesi vengono da noi a curarsi !


DEL DR. GIUSEPPE DI BELLA

La notizia della ragazzina, malata di leucemia, che muore rifiutando i trattamenti chemioterapici, ha fatto il giro del mondo rilanciata dai canali d’informazione “mainstream”. Oggi si aggiunge quella della donna malata di cancro al seno.


Tutte queste notizie sono un’ottima occasione per “proclamare” l’assoluta efficacia dei protocolli di cura tradizionali che avrebbero conseguito, al contrario, la loro guarigione.
Peccato che i soliti “debunkers” non entrino un pochino di più nel merito.
La realtà è diversa.
Da quale forma di leucemia era affetta la ragazza?
Perché forse non tutti sanno che alcune forme particolarmente aggressive


 non danno scampo alcuno, anche con le “pontificate” cure proposte dai Servizi Sanitari Nazionali…..E con questi risultati


 davanti agli occhi, chiunque dotato di buon senso cercherebbe un’alternativa….

Infine, per farcire per bene la torta, i più "zelanti" ci mettono sopra un bella ciliegina/riferimento al Metodo Di Bella........

31 agosto 2016 – INGHILTERRA


 Una ricerca (leggi) sulla mortalità nei primi 30 giorni di cura per i malati di cancro al seno e polmone firmato Public Health England e Cancer Research Uk, ha preso in considerazioni più di 23.000 donne con cancro al seno e circa 10.000 uomini con carcinoma polmonare non a piccole cellule: 9.634 sono stati sottoposti a chemioterapia nel 2014 e 1.383 sono morti entro 30 giorni. L'indagine ha rilevato che in Inghilterra circa l'8,4% dei pazienti con cancro del polmone e il 2,4% di quelli affetti da tumore del seno sono deceduti entro un mese dall'avvio del trattamento.  In alcuni ospedali, tuttavia, la percentuale è di molto superiore alla media riscontrata. In quello di Milton Keynes, ad esempio, il tasso di mortalità per chemioterapia contro il carcinoma polmonare è risultata addirittura del 50,9%, anche se la statistica si basa su un piccolo numero di pazienti. Al Lancashire Teaching Hospitals il tasso di mortalità a 30 giorni è risultato del 28%. Tassi più alti della media sono stati riscontrati anche nei nosocomi di Blackpool, Coventry, Derby, South Tyneside, del Surrey e del Sussex. “Si tratta di farmaci potenti – avvertono gli esperti - con effetti collaterali significativi, e spesso ottenere il giusto equilibrio fra un trattamento aggressivo e la salute del paziente può essere difficile”. Comunque, come puntualmente si affretta a riportare il quotidiano, La Repubblica: “”… gli oncologi italiani fanno chiarezza su questa ricerca che potrebbe creare solo confusione sull’efficacia della chemioterapia. Come ha illustrato Carmine Pinto, presidente nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), lo studio dimostra solo la pessima assistenza sanitaria inglese: “Non a caso il tasso di sopravvivenza per tumore in Gran Bretagna è il più basso di tutta l’Europa occidentale”. Un altro aspetto che emerge da questa ricerca è che è fondamentale che la chemioterapia venga fatta solo in oncologia da personale che conosce il tipo di farmaci, che può effettuare una accurata selezione del paziente, suggerire eventuali terapie di supporto che permettono di tollerare meglio i farmaci e può gestire le reazioni di chi vi si sottopone…””.
Mah! Evidentemente, in Inghilterra, non hanno ancora capito come applicare i protocolli …?


Beh! Effettivamente, i nostri ospedali sono pieni di pazienti inglesi facoltosi che “migrano” in cerca di un servizio di cura migliore……



venerdì 2 settembre 2016

SCOPERTO UN PIANETA ALL'INTERNO DELLA ZONA ABITABILE DELLA STELLA PIU' VICINA A NOI



SEGNALATO DAL DR. GIORGIO PATTERA (ESO-BIOLOGO)


eso1629it — Comunicato Stampa Scientifico


La campagna "Pale Red Dot" (Piccolo Punto Rosso) rivela un mondo di massa simile a quella della Terra in orbita intorno a Proxima Centauri.

Alcuni astronomi, utilizzando i telescopi dell'ESO e altri strumenti hanno trovato una chiara prova della presenza di un pianeta in orbita intorno alla stella più vicina al Sistema Solare, Proxima Centauri. Questo mondo così a lungo cercato, designato Proxima b, orbita ogni 11 giorni intorno alla stella madre, rossa e fredda, e ha una temperatura tale che l'eventuale acqua presente in superficie rimane liquida. Questo mondo roccioso ha una massa poco maggiore di quella della Terra ed è l'esopianeta più vicino a noi - potrebbe anche essere il più vicino ricettacolo di vita fuori dal Sistema Solare. Un articolo che descrive questa scoperta epocale verrà pubblicato dalla rivista Nature il 25 agosto 2016. A poco più di 4 anni luce dal Sistema Solare si trova una nana rossa, chiamata Proxima Centauri perchè è la stella più vicina alla Terra, escluso naturalmente il Sole. Questa stella fredda si trova nella costellazione del Centauro: è troppo debole per essere vista a occhio nudo ma è vicina a una coppia di stelle molto più brillanti, nota come Alfa Centauri AB. Nella prima metà del 2016 Proxima Centauri è stata osservata con regolarità dallo spettrografo HARPS montato sul telescopio da 3,6 metri dell'ESO all'Osservatorio di La Silla in Cile e simultaneamente da altri telescopi in tutto il mondo [1]. Questa campagna, in cui un gruppo di astronomi, guidati da Guillem Anglada-Escudé, della Queen Mary University di Londra, cercava le piccolissime oscillazioni della stella causate dall'attrazione gravitazionale di un putativo pianeta in orbita intorno alla stella [2], fu denominata Piccolo Punto Rosso ("Pale Red Dot" in inglese). Essendo un argomento di grande interesse per il pubblico, i progressi della campagna sono stati condivisi in tempo reale, tra metà gennaio e aprile 2016, attraverso il sito "Pale Red Dot" e i social media. I rapporti erano sempre accompagnati da articoli divulgativi scritti da specialisti internazionali. Guillem Anglada-Escudé spiega il contesto di questa ricerca, unica al mondo: "Il primo indizio che ci fosse un pianeta è stato trovato nel 2013, ma le misure non erano convincenti. Da allora abbiamo lavorato duramente per ottenere altre osservazioni da terra, con l'aiuto dell'ESO e di altre istituzioni. La recente campagna "Pale Red Dot" ha richiesto due anni di pianficazione." I dati del Piccolo Punto Rosso, combinati con osservazioni precedenti ottenute da numerosi strumenti, sia dagli Osservatori dell'ESO che altrove, indicavano con chiarezza un risultato veramente entusiasmante. Dapprima Proxima Centauri si avvicina alla Terra, con una velocità di circa 5 chilometri all'ora - un normale "passo d'uomo" - e successivamente si allontana, sempre alla stessa velocità. Questo alternarsi regolare delle velocità radiali si ripete con un periodo di 11,2 giorni. Analisi dettagliate degli spostamenti Doppler risultanti mostrano la presenza un pianeta di massa pari ad almeno 1,3 volte quella della Terra, in orbita a circa 7 milioni di chilometri da Proxima Centauri - circa il 5% della distanza Terra-Sole [3]. Guillem Anglada-Escudé commenta l'entusiamo degli ultimi mesi: "Continavo a verificare la coerenza del segnale ogni singolo giorno durante le 60 notti di osservazione della campagna Piccolo Punto Rosso. I primi 10 erano molto promettenti, i primi 20 erano consistenti con le previsioni e arrivati a 30 giorni il risultato era quasi definitivo, così abbiamo iniziato a scrivere l'articolo!" Le nane rosse come Proxima Centauri sono stelle attive e possono variare in modi diversi, alcuni dei quali possono imitare la presenza di un pianeta. Per escludere questa possiblità l'equipe ha anche tenuto sotto osservazione ogni giorno la luminosità della stella e le sue variazioni durante la campagna utilizzando il telscopio ASH2 all'Osservatorio Celestial Explorations di San Pedro de Atacama in Cile e la rete di telescopi dell'Osservatorio di Las Cumbres. I dati di velocità radiale ottenuti durante i periodi di brillamento della stella sono stati esclusi dall'analisi finale.

Anche se Proxima b ha un'orbita molto più vicina alla propria stella madre di quanto acccada nel Sistema Solare con Mercurio intorno al Sole, la stella stessa è molto più debole del Sole. Ne risulta che Proxima b si trova entro la zona abitabile della sua stella e la stima della temperatura superficiale è tale che permetterebbe la presenza di acqua liquida. Nonostante il clima temperato dell'orbita di Proxima b, le condizioni sulla superficie potrebbero risentire dei brillamenti in Ultravioletto e raggi X della stella - molto più intensi di quello che la Terra subisce da parte del Sole [4]. In due diversi articoli viene discussa l'abitablità di Proxima b e il clima potenziale di questo mondo. Il risultato è che non si può escludere la presenza di acqua oggi sul pianeta ma, in questo caso, solo nelle zone più soleggiate, cioè nell'emisfero che si rivolge alla stella (nel caso di rotazione sincrona) oppure nella zona tropicale (nel caso di risonanza 3:2). La rotazione di Proxima b, la forte radiazione della stella e la storia di formazione del pianeta rendono il clima di questo pianeta molto diverso da quello della Terra, per esempio è molto improbabile che il clima di Proxima b abbia delle variazioni stagionali. La scoperta segna l'inizio di ulteriori approfondite osservazioni, sia con gli strumenti attuali [5] che con la nuova generazione di telescopi giganti in costruzione, come il telescopio europeo E-ELT (European Extremely Large Telescope). Proxima b sarà un obiettivo primario per la ricerca di vita nell'Universo, fuori dal Sistema Solare. Il sistema di Alfa Centauri è infatti anche meta del primo tentativo da parte del genere umano di viaggiare verso un altro sistema stellare, il progetto StarShot. Guillem Anglada-Escudé conclude: "Molti esopianeti sono stati trovati e molti ancora ne verrano scoperti in futuro, ma cercare il pianeta potenzialmente analogo alla Terra e poi trovarlo è stata un'esperienza indicibile per tutti noi. Le storie e gli sforzi di molti di noi sono confluiti in questa scoperta. I risultati sono un tributo a tutti quanti hanno contribuito. Il prossimo passo è la ricerca di vita su Proxima b ..."

Note:

[1] Oltre ai dati della recente campagna Piccolo Punto Rosso, l'articolo comprende contributi di scienziati che hanno osservato Proxima Centauri per anni, tra cui membri dell'orginale programma UVES/ESO M-dwarf (Martin Kürster e Michael Endl), e pionieri della ricerca di pianeti extrasolari come R. Paul Butler. Sono state incluse anche osservazioni pubbliche ottenute dell'equipe HARPS/Geneva nel corso di parecchi anni.

[2] Il nome "Pale Red Dot" si rifersce alla famosa citazione di Carl Sagan che vedeva la Terra come un puntino azzuro. Poichè Proxima Centauri è una stella nana rossa, inonderà i suoi pianeti di un riverbero rossastro.

[3] La rilevazione riportata oggi era possibile tecnicamente già da 10 anni. Infatti erano già stati ottenuti segnali, se pure di ampiezza inferiore. Ma le stelle non sono palle di gas lisce e inoltre Proxima Centauri è una stella attiva. La misura robusta della presenza di Proxima b è stata possibile solo dopo aver raggiunto una comprensione dettagliata di come la stella cambia su tempi scala che vanno dai minuti alle decine di anni attraverso osservazioni costanti della sua luminosità con telescopi fotometrici.

[4] La possibilità concreta che questo tipo di pianeti possa contenere acqua e sostenere un tipo di vita simile a quello sulla Terra è materia di dibattito intenso ma per lo più teorico. I principali problemi sulla presenza di vita sono dovuti alla vicinanza della stella. Per esempio le forze gravitazionali probabilmente bloccano lo stesso lato del pianeta in un dì perpetuo, mentre l'altro lato è avvolto da una notte perpetua. L'atmosfera del pianeta potrebbe anche evaporare lentamente o avere una chimica più complessa di quella della Terra a causa della radiazione più intensa nella banda dell'Ultravioletto e dei raggi X, soprattutto durante i primi miliardi di anni di vita della stella. In ogni caso nessuno di questi argomenti è dimostrato in modo conclusivo e non può essere risolto senza osservazioni dirette e una caratterizzazione dell'atmosfera del pianeta. Criteri analoghi si applicano ai pianeti recentemente trovati intorno a TRAPPIST-1.

[5] Alcuni metodi di studio dell'atmosfera di un pianeta dipendono dal fatto che passi di fronte alla propria stella così che la luce stellare possa attraversare l'atmosfera durante il viaggio verso la Terra. Al momento non c'è alcuna evidenza che Proxima b transiti di fronte al disco stellare della stella madre e sembra che siano poche le probabilità che ciò accada, ma sono in corso osservazioni dedicate a verificare questa possibilita.

Ulteriori Informazioni:

Questo risultato è stato descritto nell'articolo “A terrestrial planet candidate in a temperate orbit around Proxima Centauri”, di G. Anglada-Escudé et al., pubblicato dalla rivista Nature il 25 agosto 2016.

L'equipe è composta da: Guillem Anglada-Escudé (Queen Mary University of London, London, Regno Unito), Pedro J. Amado (Instituto de Astrofísica de Andalucía - CSIC, Granada, Spagna), John Barnes (Open University, Milton Keynes, Regno Unito), Zaira M. Berdiñas (Instituto de Astrofísica de Andalucia - CSIC, Granada, Spagna), R. Paul Butler (Carnegie Institution of Washington, Department of Terrestrial Magnetism, Washington, USA), Gavin A. L. Coleman (Queen Mary University of London, London, Regno Unito), Ignacio de la Cueva (Astroimagen, Ibiza, Spagna), Stefan Dreizler (Institut für Astrophysik, Georg-August-Universität Göttingen, Göttingen, Germania), Michael Endl (The University of Texas at Austin e McDonald Observatory, Austin, Texas, USA), Benjamin Giesers (Institut für Astrophysik, Georg-August-Universität Göttingen, Göttingen, Germania), Sandra V. Jeffers (Institut für Astrophysik, Georg-August-Universität Göttingen, Göttingen, Germania), James S. Jenkins (Universidad de Chile, Santiago, Cile), Hugh R. A. Jones (University of Hertfordshire, Hatfield, Regno Unito), Marcin Kiraga (Warsaw University Observatory, Warsaw, Polonia), Martin Kürster (Max-Planck-Institut für Astronomie, Heidelberg, Germania), María J. López-González (Instituto de Astrofísica de Andalucía - CSIC, Granada, Spagna), Christopher J. Marvin (Institut für Astrophysik, Georg-August-Universität Göttingen, Göttingen, Germania), Nicolás Morales (Instituto de Astrofísica de Andalucía - CSIC, Granada, Spagna), Julien Morin (Laboratoire Univers et Particules de Montpellier, Université de Montpellier & CNRS, Montpellier, Francia), Richard P. Nelson (Queen Mary University of London, London, Regno Unito), José L. Ortiz (Instituto de Astrofísica de Andalucía - CSIC, Granada, Spagna), Aviv Ofir (Weizmann Institute of Science, Rehovot, Israele), Sijme-Jan Paardekooper (Queen Mary University of London, London, Regno Unito), Ansgar Reiners (Institut für Astrophysik, Georg-August-Universität Göttingen, Göttingen, Germania), Eloy Rodriguez (Instituto de Astrofísica de Andalucía - CSIC, Granada, Spagna), Cristina Rodriguez-Lopez (Instituto de Astrofísica de Andalucía - CSIC, Granada, Spagna), Luis F. Sarmiento (Institut für Astrophysik, Georg-August-Universität Göttingen, Göttingen, Germania), John P. Strachan (Queen Mary University of London, London, Regno Unito), Yiannis Tsapras (Astronomisches Rechen-Institut, Heidelberg, Germania), Mikko Tuomi (University of Hertfordshire, Hatfield, Regno Unito) e Mathias Zechmeister (Institut für Astrophysik, Georg-August-Universität Göttingen, Göttingen, Germania).

L'ESO (European Southern Observatory, o Osservatorio Australe Europeo) è la principale organizzazione intergovernativa di Astronomia in Europa e l'osservatorio astronomico più produttivo al mondo. È sostenuto da 16 paesi: Austria, Belgio, Brasile, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Spagna, Svezia, e Svizzera, oltre al paese che ospita l'ESO, il Cile. L'ESO svolge un ambizioso programma che si concentra sulla progettazione, costruzione e gestione di potenti strumenti astronomici da terra che consentano agli astronomi di realizzare importanti scoperte scientifiche. L'ESO ha anche un ruolo di punta nel promuovere e organizzare la cooperazione nella ricerca astronomica. L'ESO gestisce tre siti osservativi unici al mondo in Cile: La Silla, Paranal e Chajnantor. Sul Paranal, l'ESO gestisce il Very Large Telescope, osservatorio astronomico d'avanguardia nella banda visibile e due telescopi per survey. VISTA, il più grande telescopio per survey al mondo, lavora nella banda infrarossa mentre il VST (VLT Survey Telescope) è il più grande telescopio progettato appositamente per produrre survey del cielo in luce visibile. L'ESO è il partner principale di ALMA, il più grande progetto astronomico esistente. E sul Cerro Armazones, vicino al Paranal, l'ESO sta costruendo l'European Extremely Large Telescope o E-ELT (significa Telescopio Europeo Estremamente Grande), un telescopio da 39 metri che diventerà "il più grande occhio del mondo rivolto al cielo".

La traduzione dall'inglese dei comunicati stampa dell'ESO è un servizio dalla Rete di Divulgazione Scientifica dell'ESO (ESON: ESO Science Outreach Network) composta da ricercatori e divulgatori scientifici da tutti gli Stati Membri dell'ESO e altri paesi. Il nodo italiano della rete ESON è gestito da Anna Wolter.

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