IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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VIDEO SINOSSI DELL'UOMO KOSMICO

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Con questo libro Marco La Rosa ha vinto il
PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO
ALTIPIANI DI ARCINAZZO 2014
* MISTERI DELLA STORIA *

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LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

venerdì 30 giugno 2017

IMMUNITA' DI GREGGE: FACCIAMO UN PO' DI CHIAREZZA


L'immunità di gregge ("herd immunity")…secondo l’ OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità - World Health Organization, WHO in inglese )

da Wikipedia:

“detta anche immunità di gruppo, in medicina è una forma di protezione indiretta che si verifica quando la vaccinazione di una parte significativa di una popolazione (o di un allevamento) finisce con il fornire una tutela anche agli individui che non hanno sviluppato direttamente l'immunità.  Secondo il principio dell'immunità di gregge, nelle malattie infettive che vengono trasmesse da individuo a individuo, la catena dell'infezione può essere interrotta quando un gran numero di appartenenti alla popolazione sono immuni o meno suscettibili alla malattia. Quanto maggiore è la percentuale di individui che sono resistenti, minore è la probabilità che un individuo suscettibile entri in contatto con il patogeno, che non trovando soggetti recettivi disponibili circola meno, riducendo così il rischio complessivo nel gruppo. La soglia minima dell'immunità di gruppo varia in base all'agente patogeno considerato; per quelli a maggiore diffusione viene considerata il 95%, che equivale alla necessità di avere un contatto infettivo, ovvero un contatto adeguato alla potenziale trasmissione della malattia infettiva, con almeno 20 persone (o altri capi di un allevamento) per poter avere la probabilità di infezione che si avrebbe avuto prima della vaccinazione del gruppo. Il fattore 20 di diminuzione del rischio, viene considerato in statistica, sufficiente a garantire ragionevolmente di aver abbattuto il rischio di almeno un ordine di grandezza. L'utilità complessiva della vaccinazione di gruppo è molto maggiore di quella diretta in quanto, diventando rari i soggetti vulnerabili e rendendo difficile la trasmissione fra loro, si può ottenere l'estinzione di un intero ceppo infettivo, anche se precedentemente era endemico in quel gruppo o in quella specie. L'immunità di gruppo, rispetto a quella individuale, offre due ulteriori vantaggi: la ridotta trasmissibilità e la riduzione del ceppo infettivo. Perciò, statisticamente, ottiene effetti stimabili in almeno tre ordini di grandezza sulla riduzione del rischio di contagio del singolo individuo proteggendo anche gli individui non vaccinati, non vaccinabili e quelli che non hanno sviluppato l'immunità totale a seguito della vaccinazione. L'immunità di gregge riguarda solo le malattie trasmissibili da individuo a individuo, quindi non trova applicazione per patologie quali ad esempio, il tetano. Nonostante vari studi abbiano evidenziato la sua plausibilità, allo stato attuale risulta difficile dimostrare direttamente l'esistenza dell'immunità di gregge”.

L’INCOMPRESA TEORIA DELL’IMMUNITA’ DI GREGGE

da:



 A causa delle recenti epidemie di morbillo negli Stati Uniti (e in tutto il mondo occidentale, ndr) il dibattito pubblico sui vaccini e sulla politica vaccinale ha ripreso vigore e riemerge per l’ennesima volta la teoria della “immunità di gregge.” Questa teoria è il fondamento per le campagne di vaccinazione di massa di tutto il mondo. Attualmente prevede che, affinchè una popolazione sia immune verso una malattia infettiva come il morbillo, è necessario vaccinare almeno il 95% della popolazione stessa. In teoria quindi, con un tasso di vaccinazione del 95%, la malattia dovrebbe essere eradicata. In un articolo pubblicato su “Epidemiological Review” intitolato “Immunità di gregge: Storia, Teoria, Pratica“, scritto da Paul E.M. Fine e pubblicato nel 1993, l’autore osserva che il primo uso “pubblico” del termine “Herd Immunity (immunità di gregge)” sembra essere stato nell’articolo “La diffusione delle infezioni batteriche: il problema dell’immunità di gregge“, scritto da W.W.C. Topley e G.S. Wilson e pubblicato nel 1923. Dal lavoro di Paul E.M. Fine, sembra che la teoria dell’immunità di gregge si sia originariamente sviluppata sulla base di alcune osservazioni con i topi e da alcune “semplici formulazioni matematiche”, ma lo studio non chiarisce se questa teoria sia mai stata validata mediante processi di revisione scientifica fra pari (peer review) come avviene comunemente nel caso di teorie che vengono in seguito diffusamente accettate come “prova scientifica”. [1, 2] Nel 1933, il Dr. Arthur W. Hedrich, un ufficiale sanitario di Chicago (IL) osservava che durante gli anni 1900-1930, le epidemie di morbillo a Boston (MA) sembravano arrestarsi nel momento in cui il 68% dei bambini aveva contratto il virus [3]. Successivamente, negli anni ‘30, sempre il Dr. Hedrich osservava che, una volta che il 55% della popolazione infantile di Baltimora (MD) aveva contratto il morbillo, il resto della popolazione sembrava essere protetta verso l’infezione. Queste sono state le osservazioni alla base delle campagne di vaccinazione di massa. [4] Quando le campagne di vaccinazione di massa contro il morbillo sono iniziate sul serio negli Stati Uniti, verso la metà degli anni ‘60, la US Public Health Service (il dipartimento di salute pubblica americano) prevedeva di vaccinare oltre il 55% della popolazione degli Stati Uniti (basandosi proprio sull’osservazione di Baltimora), e annunciava che si aspettava di eradicare il morbillo già a partire dal 1967. Quando tutto ciò non è accaduto, il Public Health Service ha corretto il tiro, parlando della necessità di una copertura vaccinale minima del 70-75%, per garantire l’immunità di gregge. Quando l’eradicazione non venne ancora ottenuta con queste ultime coperture, i funzionari della sanità pubblica elevarono il tasso di copertura all’80%, 83%, 85%, ed infine al 90%. [5] Il processo con il quale sono state prese le decisioni di aumentare i tassi di copertura vaccinale non è affatto chiaro. Era basata su qualche metodologia scientifica o semplicemente su ipotesi? Oppure le decisioni sono state prese semplicemente perché i funzionari erano sotto pressione per mantenere le loro promesse di eradicare completamente il morbillo? Hanno forse mai considerano di fermarsi un momento e rivalutare la premessa originale che sosteneva la teoria dell’immunità di gregge? O si sono semplicemente trascinati oltre, alzando arbitrariamente l’asticella?Ora la copertura minima è stata fissata al 95%. Ma come possiamo constatare dai continui focolai di morbillo, anche con coperture del 95% ancora non abbiamo la totale immunità della popolazione. In Cina, la copertura vaccinale è ancora più alta, al 99% ma anche lì ci sono continui focolai di morbillo. [6] Così, la risposta sarà in una copertura del 100%? E se al 100% si verificassero ancora focolai? Siamo passati da una “herd immunity” presumibilmente raggiungibile con una copertura del 55% ad una immunità che non è chiaramente raggiunta nemmeno al 95%. Quando arriverà il momento in cui i funzionari della sanità pubblica dovranno confrontarsi con la possibilità che l’immunità di gregge potrebbe non essere la migliore teoria su cui basare la politica vaccinale di una popolazione? La popolazione degli Stati Uniti si è attestata a circa 318,9 milioni nel 2014. [7] La generazione del “baby boom” (i nati tra il 1946 e il 1964) rappresentano circa il 24% del totale di questa popolazione. [8] Molti anni fa, si credeva che i vaccini per l’infanzia avrebbero protetto per tutta la vita. Solo di recente si è scoperto che la maggior parte di questi vaccini perdono la loro efficacia da 2 a 10 anni dopo essere stati somministrati. [9] Così, almeno negli ultimi 40 anni, da un quarto a quasi il 40% della popolazione degli Stati Uniti rappresentata dai “baby boomer” non ha goduto di alcuna immunizzazione indotta da vaccino per nessuna delle malattie per le quali erano stati vaccinati da bambini. Se si considerano i nati dopo il 1964, la percentuale di non protetti supera il 50%. Secondo il famoso neurochirurgo (ora in pensione) dott. Russell Blaylock, “Se ci basassimo sulle attuali verità scientifiche dovremmo concludere che oggi siamo tutti a rischio di epidemie di massa, dal momento che le coperture “immunitarie” sono ben al di sotto dei valori limite minimi del 95%” [9] Dato che almeno la metà della popolazione è stata effettivamente senza alcuna protezione vaccinale per molti anni, avremmo dovuto assistere ad un massiccio ritorno di malattie infettive infantili. Ma questo non è accaduto. In altre parole, non abbiamo raggiunto la “herd immunity” negli Stati Uniti, ma il mondo non è ancora crollato.

1.Fine PEM. Herd Immunity: History, Theory, Practice. The Johns Hopkins University School of Hygiene and Public Health. Epidemiological Reviews 1993;15(4):265-302.

2.Topley WWC, Wilson GS. The Spread of Bacterial Infection. The Problem of Herd-Immunity. Journ. of Hyg. xxi: 243-249.

3.Hedrich AW. Estimates of the child population susceptible to measles, 1900-1930. Am. J. Hyg. 17:613-630.

4.Oxford Journals. Monthly Estimates of the Child Population “Susceptible” to Measles, 1900-1931. Baltimore, MD. Am. J. Epidemiol. 17(3):613-636.

5.Solomon L. Junk Science Week: Vaccinating the ‘herd’. National Post June 19, 2014.

6.Ji S. Why Is China Having Measles Outbreaks When 99% Are Vaccinated?. GreenMedInfo.com Sept. 20, 2014.

7.United States Population. Trading Economics N.d.

8.Pollard K. and Scommegna P. Just How Many Baby Boomers Are There?. Population Reference Bureau N.d.

9.Blaylock R. The Deadly Impossibility Of Herd Immunity Through Vaccination. International Medical Council on Vaccination Feb. 18, 2012.

MOLTO UTILE AI FINI DI UNA MIGLIORE COMPRENSIONE DEL QUADRO GENERALE DELLA SITUAZIONE, ANCHE LA  LETTURA DEL SEGUENTE ARTICOLO:

https://autismovaccini.org/2012/08/05/immunita-di-gregge-scienza-imperfetta-e-fallimento-della-vaccinazione-di-massa/

...E PER CONCLUDERE AGGIUNGO QUESTO CONDENSATO RIGUARDO AD UNA NOTIZIA APPENA GIUNTA DALLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA:

A CURA DEL  DR. GIORGIO PATTERA (BIOLOGO)

 


PER APPROFONDIMENTI:






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lunedì 26 giugno 2017

ETTORE MAJORANA E ...LA CIA


 La CIA raccoglieva studi
di Ettore Majorana
fin dagli anni Cinquanta

                              I documenti ritrovati tra quelli declassificati nel Gennaio 2017
                                                                  di Rino Di Stefano
(RinoDiStefano.com, Giovedì 1 Giugno 2017)
"La CIA sin dagli anni Cinquanta aveva cominciato a seguire gli studi di Ettore Majorana, acquisendo suoi dossier scientifici risalenti ai primi anni Trenta. La notizia, che fino ad ora era stata ignorata dai maggiori studiosi dello scienziato scomparso, scaturisce dalla massa di documenti declassificati il 3 Gennaio 2017 dalla CIA Library, l’esclusiva biblioteca disponibile soltanto per i dipendenti della CIA, in seguito alla Freedom of Information Act, la legge degli Stati Uniti che di tanto in tanto rende pubblici documenti riservati vietati al pubblico. Il primo dossier di Ettore Majorana classificato dalla CIA risale al 1932 e si intitola “Atomi orientati in un campo magnetico variabile”, uno studio pubblicato sulla rivista italiana Nuovo Cimento, Volume IX, tra pag. 43 e pag. 50. Questo documento, indicato con la sigla AEC 1074 e qualificato Scientifico-Fisico, è del Dicembre 1951, ed è stato rilasciato lunedì 30 giugno 2003, con la matricola CIA-RDP91-00929R000100170014-8. Sia questo documento che gli altri, sono stati poi resi pubblici nel gennaio scorso.
 Tenendo presente che lo scienziato siciliano è scomparso nel nulla  il 27 marzo del 1938, a 31 anni, vuol dire che questo studio è stato uno dei suoi primi lavori giovanili, in quanto nel 1932 Majorana aveva 26 anni. Nonostante la giovane età, evidentemente la CIA ha ritenuto che anche questo documento fosse importante…"
CONTINUA A LEGGERE L’ARTICOLO QUI:
 GLI ALTRI POST RELATIVI AD ETTORE MAJORANA SU QUESTO BLOG:


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mercoledì 21 giugno 2017

LA RICERCA SETI E IL "MISTERIOSO" SEGNALE "WOW"





Altro che comete, si riapre il mistero sul segnale Wow!

Si riapre il dibattito sul segnale Wow! captato nel 1977 dall'astronomo Jerry Ehman. Si trattò di una potente esplosione di onde radio della durata di 72 secondi che passò alla storia con questo nome perché sulla stampata Ehman cerchiò il codice identificativo 6EQUJ5 - che descrive la variazione di intensità del segnale - e accanto annotò "Wow!".

 
 
                                                                Segnale Wow!

La provenienza sembrava lo spazio interstellare e per questo i partecipanti del programma SETI e numerosi utenti attivi nell'ambito della ricerca di intelligenze extraterrestri lo videro per anni come un segno dell'esistenza di ET. Le congetture si sono raffreddate a luglio 2016, quando l'astrofisico Antonio Paris del St Petersburg College (Florida) ha ripreso in mano i dati e ha concluso che il suddetto segnale non proveniva dagli alieni, ma da due comete (266P/Christensen e 335P/Gibbs) che furono scoperte rispettivamente nel 2006 e nel 2008, quindi erano sconosciute all'epoca del lavoro di Ehman. Tutto sembrava chiarito, invece molti astronomi - fra cui lo stesso Ehman - sono convinti che l'ipotesi di Paris sia errata, nonostante l'origine cometaria del segnale sia stata accettata nel 2017 dalla rivista dell'Accademia nazionale delle scienze di Washington. Ehman in particolare ha analizzato lo studio di Paris insieme a Robert Dixon, direttore del radio osservatorio presso la Ohio State University (Big Ear è stato smantellato nel 1997) e ha rilevato due incongruenze. Prima di tutto il segnale Wow! non fu ripetuto, e durò per un tempo troppo breve. Ehman fa notare che il radiotelescopio Big Ear aveva un doppio sistema di "ascolto", che forniva due campi di vista leggermente differenti. Se fosse stata una cometa "si sarebbe dovuta rilevare una fonte duplice nell'arco di circa 3 minuti: una della durata di 72 secondi (dovuta alla larghezza della finestra osservativa di Big Ear e alla velocità di rotazione terrestre) e una della stessa durata, circa un minuto e mezzo dopo" ha spiegato Ehman, che però aggiunge: "non abbiamo rilevato il secondo." A suo avviso inoltre una cometa non produrrebbe questo tipo di segnale, sia perché i gas che circondano il nucleo coprono ampie aree diffuse, sia perché una cometa non potrebbe essere uscita così velocemente dal campo del radiotelescopio.

                                                                       Big Ear

La spiegazione aliena comunque non convince del tutto Ehman, perché ci sono molti fenomeni che generano segnali radio improvvisi, fra cui gli FRB (fast radio burst), lampi radio veloci di origine misteriosa che generano segnali irregolari della durata di millisecondi. Ehman ammette di non saper ancora oggi spiegare il segnale che ha rilevato, e non esclude che potrebbe persino essere riconducibile a un problema del radiotelescopio. L'altra questione è la frequenza di trasmissione: secondo Paris le comete possono emettere segnali nell'intervallo del segnale Wow!, ma l'astronomo del SETI Seth Shostak è scettico. Dalla sua esperienza di studioso delle emissioni da idrogeno nella gamma dei 1.420 MHz non si dice sicuro che le comete possano emettere un segnale nitido come quello Wow!. In sostanza, a distanza di 40 anni e nonostante i rilevanti progressi scientifici, la questione del segnale Wow! non è chiusa. Resta ancora il mistero sulla sua provenienza, e a quanto pare tutte le ipotesi resteranno possibili, fino a prova contraria.
da:
 per approfondimento sulla storia del segnale WOW leggi qui:

PER APPROFONDIMENTI:






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venerdì 16 giugno 2017

TRANSUMANESIMO, SINGOLARITA' TECNOLOGICHE E ...ALIENI


 
Voglio proporvi l’articolo che segue, poiché l’argomento è direttamente correlato all’intervento che ho tenuto quest’anno al “18° Simposio Mondiale sull’esplorazione dello spazio e la vita nel cosmo”, che si è tenuto a San Marino il 13 Maggio scorso. Il mio commento lo trovate in calce alla notizia.

da:


Il Paradosso di Fermi inquieta astrofisici e astrobiologi. L’affermazione- attribuita al grande fisico italiano- suona più o meno così: se davvero l’universo infinito pullula di vita, dove sono tutti gli altri? Perché non vediamo e non sentiamo la presenza di altre civiltà oltre la nostra? Di volta in volta, gli studiosi hanno cercato una risposta a questa domanda non certo trascurabile. E sono arrivati a diverse ipotesi.

SE ESISTONO, DOVE SONO LE ALTRE FORME DI VITA INTELLIGENTE?

Una delle ultime è stata formulata da tre ricercatori- due neuroscienziati esperti di intelligenza artificiale di Oxford, Anders Sandberg e Stuart Armstrong, e un astronomo dell’Osservatorio di Belgrado, Milan Ćirković- in un articolo già postato online su ArXiv.org, ma accettato per la pubblicazione anche sulla rivista scientifica Journal of the British Interplanetary Society. La loro è un’idea piuttosto bizzarra.

Per spiegare il silenzio che ci circonda, hanno infatti immaginato che le civiltà più evolute del cosmo si siano volutamente auto-ibernate, in attesa che l’universo raggiunga la temperatura ideale per svolgere una serie di attività e di processi che noi al momento possiamo solo sognare. Adesso- hanno spiegato sul loro blog- la radiazione cosmica di fondo rende l’universo più caldo di 3 gradi Kelvin, ma con l’espansione dell’universo questa temperatura andrà diminuendo esponenzialmente. E ci saranno le condizioni ideali per organismi non più biologici. Questa è infatti la premessa del ragionamento dei tre ricercatori: l’evoluzione porta in direzione dell’ intelligenza artificiale, dei circuiti a scapito dei neuroni. Già in parte accade qui, sulla Terra: anche noi stiamo progettando e costruendo parti del corpo artificiali- protesi, organi e così via…- da collegare al nostro cervello attraverso microchip. Eppure esistiamo come civiltà tecnologica da un tempo irrisorio. A che punto potrebbero essere arrivati altri esseri con una storia evolutiva più antica di migliaia, se non di milioni di anni? Potrebbero già aver abbandonato il corpo fatto di cellule deperibili, a favore di una struttura sintetica molto più resistente.

L’EVOLUZIONE PORTA VERSO L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Sandberg, Armstrong e Ćirković ipotizzano che civiltà molto più avanzate della nostra abbiano trovato il modo di liberarsi dei corpi biologici, inefficienti e destinati a morire, trasferendo le loro menti in un corpo robotico, come noi carichiamo i dati in un computer. Ma le macchine lavorano meglio a determinate temperature: ecco perché- in presenza di un universo troppo caldo- queste creature iper evolute potrebbero aver scelto la strada del letargo forzato. “C’è un costo termodinamico per eseguire l’elaborazione delle informazioni che dipende dalla temperatura: in linea di principio, il processo diventa 10 volte più efficiente se il computer è 10 volte più freddo, misurato in gradi Kelvin” , hanno spiegato. E visto che tra qualche milione di anni il cosmo in espansione dovrebbe raffreddarsi, questi alieni post-biologici potrebbero aver deciso di mettersi in modalità “risparmio energetico” per evitare le condizioni attuali.  Se una civiltà tanto evoluta vuole massimizzare l’elaborazione dei dati, non dovrebbe farlo ora, ma attendere un futuro nel quale potrà farlo incredibilmente meglio, 10 alla trentesima volte di più!” L’idea dei tre studiosi può apparire uno scherzo, una provocazione e forse in parte lo è, visto che loro stessi hanno ammesso che la spiegazione più probabile della mancanza di segnali da parte di altre creature intelligenti nello spazio è che semplicemente non esistono. Ma hanno giustificato il loro studio così: ”Se non metti alla prova anche le ipotesi meno preferite, non fai vera scienza.” Non solo, questo modo di pensare ci può dare un’importante visione delle nostre possibilità e di quello che potrebbe essere il nostro futuro nell’universo.

ANCHE NOI CI TRASFORMEREMO IN ORGANISMI NON BIOLOGICI?

Ovviamente, non mancano altre possibili spiegazioni al Paradosso di Fermi, alcune delle quali trovano maggior consenso nella comunità scientifica. Non troviamo tracce di Alieni attorno a noi perché sono troppo lontani oppure perché nel frattempo si sono già estinti. O ancora, ci sono e ci osservano, senza farsi vedere però, perché ci reputano troppo inferiori o forse troppo pericolosi, come noi facciamo quando andiamo allo zoo per guardare- a debita distanza- le belve in cattività. Si rifà alla teoria dello “zoo cosmico” l’ipotesi di Evan Solomonides, studente di matematica e astrofisica alla Cornell University. Il suo calcolo è semplice: l’universo ha circa 13,8 miliardi di anni, il nostro sistema solare poco più di 4, ma i nostri antenati sono comparsi appena qualche milione di anni fa. Noi, come Homo Sapiens, siamo ancora più giovani: abbiamo 300 mila anni di storia. Agli occhi di civiltà sorte quando noi neppure esistevamo come specie, dobbiamo apparire ancora come scimpanzé. Creature primitive alle quali non hanno nulla da dire . Ma negli ultimi decenni, le nostre conoscenze sono aumentate in modo esponenziale e stiamo diventando sempre più tecnologici. E quindi più interessanti. Secondo Solomonides, nel giro di 1500-2000 anni, raggiungeremo un livello tale da diventare interlocutori degni per gli Alieni più evoluti e capteremo i loro segnali. Chissà, magari quando entreremo in contatto con loro, anche noi avremo già optato per corpi sintetici e cervelli artificiali…

da:


COMMENTO:

Senza dilungarmi dirò subito che personalmente non concordo affatto con l’ipotesi poc’anzi descritta, poiché in realtà l’Universo non sta andando verso la morte termica o verso il livellamento energetico:


di conseguenza ciò esclude che tutte o la maggior parte delle eventuali forme di vita intelligente (avanzata) nell’Universo, siano proiettate verso un’evoluzione cibernetica. Non si potrà escludere a priori che questo non possa succedere localmente; di fatto il concetto di “singolarità tecnologica” era già stato ampiamente discusso fin dall’inizio del secolo scorso: “Nella futurologia, una singolarità tecnologica è un punto, congetturato nello sviluppo di una civiltà, in cui il progresso tecnologico accelera oltre la capacità di comprendere e prevedere degli esseri umani. La singolarità può, più specificamente, riferirsi all'avvento di una intelligenza superiore a quella umana (anche artificiale), e ai progressi tecnologici che, a cascata, si presume seguirebbero da un tale evento, salvo che non intervenga un importante aumento artificiale delle facoltà intellettive di ciascun individuo. Se una singolarità possa mai avvenire, è materia di discussione. Tra i primi teorici possiamo citare J. von Neumann e nel 1965 lo statistico I. J. Good descrisse un concetto anche più simile al significato contemporaneo di singolarità, nel quale egli includeva l'avvento di una intelligenza superumana: « Diciamo che una macchina ultraintelligente sia definita come una macchina che può sorpassare di molto tutte le attività intellettuali di qualsiasi uomo per quanto sia abile. Dato che il progetto di queste macchine è una di queste attività intellettuali, una macchina ultraintelligente potrebbe progettare macchine sempre migliori; quindi, ci sarebbe una "esplosione di intelligenza", e l'intelligenza dell'uomo sarebbe lasciata molto indietro. Quindi, la prima macchina ultraintelligente sarà l'ultima invenzione che l'uomo avrà la necessità di fare. »

Ancora prima, nel 1954 lo scrittore di fantascienza Fredric Brown, nel brevissimo racconto “La risposta”, anticipava il concetto di singolarità tecnologica immaginando la costruzione di un "supercomputer galattico" al quale viene chiesto come prima domanda, dopo l'accensione, se esiste Dio; il supercomputer rispondeva "Ora sì".

Quindi il concetto di ricerca del DNA come “principio” influente sulla costante cosmologica, che a sua volta avrà bisogno continuo di “arricchimento” per arrivare alla comprensione del perché l’Universo non è affatto proiettato verso la morte termica, ci fa ben sperare che la componente biologica sarà sempre più importante ed oserei dire: FONDAMENTALE e PREDOMINANTE.

per maggiori chiarimenti vi invito alla lettura di questo riassunto:


MLR



PER APPROFONDIMENTI:






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lunedì 12 giugno 2017

ANTICORPI MONOCLONALI PER LA CURA AI TUMORI POLMONARI


 
Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa (ENEA)

Ringrazio il Dr. Cotellessa che come sempre è attentissimo nella segnalazione delle eccellenze in campo medico –scientifico. Già nell’Ottobre 2015 ci aveva preannunciato il percorso che l’immuno-oncologia avrebbe preso:

leggi qui il post relativo del 20 Ottobre 2015:

Oggi finalmente possiamo (ragionevolmente) ritenere che le promesse, per una cura davvero efficace, siano state mantenute.

Buona lettura.

MLR

Tumore al polmone, dopo 40 anni cambia la cura d'attacco

                        riproduzione in 3D di una cellula del tumore al polmone.

Qualcuno l'ha chiamata rivoluzione, qualcun altro tsunami: fatto sta che per la prima volta dopo 40 anni, un anticorpo monoclonale in grado di potenziare il sistema immunitario nella lotta contro il tumore del polmone entra in terapia come 'farmaco di prima linea' (e in certi casi anche di seconda linea), dove finora c'era solo la chemioterapia.     Si chiama 'pembrolizumab', approvato 18 maggio scorso dall'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e ora in attesa di essere pubblicato dalla 'Gazzetta ufficiale'. In particolare, le indicazioni dell'Aifa per utilizzare questo farmaco come primo approccio al paziente con tumore del polmone richiedono che sia un 'carcinoma polmonare metastatico non a piccole cellule in cui i tumori esprimano alti livelli del recettore PD-L1'. Quest'ultimo ha la peculiarità di inattivare i linfociti T specifici e così blocca la risposta del sistema immunitario contro il tumore. Il farmaco in questione ha dimostrato di inibire i recettori PD-L1, così che il sistema immunitario possa aggredire il tumore.     "Il melanoma ha rappresentato il modello per l'applicazione di questo approccio innovativo (l'immuno-oncologia, ndr) - spiega Carmine Pinto, Presidente dell'Associazione Nazionale Oncologia medica (Aiom) - che ora si sta estendendo con successo a diversi tipi di tumore, come quello del polmone. Ed è un'arma che si affianca a quelle tradizionali rappresentate da chirurgia, chemioterapia, radioterapia e terapie biologiche. Un passo avanti verso la sconfitta o la cronicizzazione della malattia".     Lo studio che ha condotto all'approvazione della molecola in prima linea (su oltre 300 persone) ha dimostrato che a un anno il 70% dei pazienti trattati con pembrolizumab è vivo, rispetto a circa il 50% di quelli trattati con chemioterapia. Inoltre sono stai osservati un 40% di riduzione del rischio di morte e un 50% di riduzione del rischio di progressione della malattia ed è risultata triplicata la sopravvivenza libera da progressione della malattia che, a un anno, raggiunge il 48% rispetto al 15% con chemioterapia. "Pembrolizumab - precisa Filippo De Marinis, Direttore della Divisione di Oncologia toracica all'IEO di Milano - è l'unico farmaco immuno-oncologico basato sulla definizione di un biomarcatore, PD-L1, che permette di scegliere il trattamento giusto per il paziente giusto. In base al livello di espressione di PD-L1 - spiega - può essere utilizzata l'immuno-oncologia nel modo più efficace. In particolare, il 75% dei pazienti con istotipo squamoso in fase metastatica che oggi in primo livello sono trattati con chemioterapia, potranno trarre importanti benefici dall'immuno-oncologia se risponderanno a certi criteri". E' infatti stato dimostrato che pembrolizumab è più efficace della chemioterapia quando la proteina PD-L1 è espressa a livelli elevati, in misura uguale o superiore al 50% della cellule tumorali. Ma il nuovo farmaco rappresenta una importante opzione anche in seconda linea, su pazienti cioè che sono già stati trattati con chemioterapia, a condizione che il loro tumore esprima livelli di PD-L1 uguali o superiori all'1%.

Da:




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