IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

sabato 10 febbraio 2018

UN BARLUME DI SPERANZA PER LE VITTIME DELL'URANIO DEPLETO?


Uranio impoverito, «morti sconvolgenti tra i militari». E ora litigano tutti

Perché tutti quei morti di cancro tra i militari ma anche civili dentro o in prossimità di basi delle Forze Armate? Perché quei 1.101 tra morti e malati nella sola Marina Militare? E’ una relazione finale sconvolgente, quella dalla Commissione parlamentare che ha indagato sull’uso di uranio impoverito e di amianto nelle operazioni della Difesa. «Sconvolgente», è anche la parola usata dalla stessa commissione per definire le «criticità», l’approssimazione e le coperture delle autorità militari e di governo nel gestire una situazione che si è protratta troppo a lungo, quasi che vi fosse una presunzione di «impunità» da parte degli apparati militari. La relazione finale, passata con 10 voti a favore e 2 contro (quelli di Elio Vito e di Mauro Pili), è stata presentata oggi alla Camera dal presidente della Commissione, Gian Piero Scanu (Pd), che ha annunciato la trasmissione del documento (248 pagine) alla procura di Roma perché valuti eventuali ipotesi di reato.
Una relazione che diventa un atto di accusa pesantissimo, ma che ora fa litigare tutti. Litigano i politici, perché il centrodestra difende i capi delle Forze armate e definisce «antimilitarista» la relazione. Litigano i vertici della Difesa, infuriati e sdegnati per la relazione. Litigano persino gli scienziati, in maggioranza convinti che l’uranio sia un fattore cancerogeno, mentre altri (una minoranza) lo negano e addirittura uno degli esperti ascoltati dalla commissione nega di averlo detto.


La relazione:

«Mai più militari morti e ammalati senza sapere perché. Mai più una `penisola interdetta´, come quella Delta del Poligono di Capo Teulada. Mai più una gestione del territorio affidata in via esclusiva all’autorità militare, senza interlocuzioni con l’amministrazione dell’ambiente, con la Regione e con le Autonomie locali: ecco gli obiettivi perseguiti dalla quarta Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito». È quanto si legge nella relazione finale sull’attività svolta dalla Commissione. «Garantire al meglio la sicurezza e la salute dei militari non è un sogno, ed è un atto dovuto alle nostre Forze armate per l’impegno e lo spirito di sacrificio dimostrati ogni giorno al servizio del Paese», si legge ancora. La commissione spiega: «La Penisola Delta del Poligono di Capo Teulada è diventata il simbolo della maledizione che per troppi decenni ha pesato sull’universo militare: utilizzata da oltre 50 anni come zona di arrivo dei colpi, permanentemente interdetta al movimento di persone e mezzi. Le immagini satellitari ritraggono una discarica non controllata: sulla superficie tonnellate di residuati contenenti cospicue quantità di inquinanti in grado di contaminare suolo, acqua, aria, vegetazione, animali. E l’uomo. Non sorprendono, a questo punto, le indagini condotte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari per il delitto di disastro doloso. L’omessa bonifica per ragioni di `convenienza´ economica e il prosieguo delle esercitazioni sono scelte strategiche che stonano a fronte di un crescente e assordante allarme prodotto dalla penisola interdetta tra cittadini e istituzioni».
L’uranio, ma anche l’amianto ed i poligoni sono stati usati usati come «discariche non controllate». Nel settore della salute e della sicurezza sul lavoro delle forze armate sono state scoperte «criticità sconvolgenti», che «in Italia e nelle missioni all’estero hanno contribuito a seminare morti e malattie tra i militari», malgrado il «negazionismo» dei vertici della Difesa e gli «assordanti silenzi generalmente mantenuti dalle Autorità di Governo».


Lo sdegno delle autorità militari:

All’attacco frontale della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito replica con altrettanta durezza lo Stato Maggiore della Difesa: «accuse inaccettabili, noi tuteliamo la salute dei militari, adottando tutte le cautele e controlli sanitari periodici».
«I vertici militari - è scritto nel comunicato dello Stato Maggiore - sentono come prima responsabilità e dovere quello di preservare e difendere la salute del proprio personale in ogni circostanza». Lo Stato Maggiore ribadisce che le «Forze armate italiane mai hanno acquistato o impiegato munizionamento contenente uranio impoverito» e ciò è stato confermato «anche dalle commissioni tecnico-scientifiche ingaggiate dalle 4 Commissioni parlamentari che dal 2005 ad oggi hanno indagato su tale aspetto. Centinaia di ispezioni in siti militari, aree addestrative, poligoni con decine e decine di analisi di suoli e acque hanno concordemente escluso presenza di uranio impoverito da munizionamento e spiace che tale dato oggettivo e inoppugnabile sia stato omesso nelle dichiarazioni pubbliche della Commissione».


La polemica scientifica:

Il presidente della Commissione, Scanu, ha definito «pietra miliare» un passo del documento che parla di «nesso di causalità tra l’esposizione all’uranio impoverito e le patologie denunciate» dal personale in divisa. Ma proprio su questo punto si è aperta una polemica scientifica. La Relazione cita infatti l’audizione di Giorgio Trenta, presidente dell’Associazione italiana di radioprotezione medica, che ha «riconosciuto la responsabilità dell’uranio impoverito nella generazione di nanoparticelle e micropolveri, capaci di indurre i tumori che hanno colpito anche i nostri militari inviati ad operare in zone in cui era stato fatto un uso massiccio di proiettili all’uranio». Il professore parla però di «parole travisate, non ho mai detto che l’uranio impoverito è responsabile dei tumori riscontrati nei soldati». Scanu replica citando un passo di una perizia firmata da Trenta dove ricorda la responsabilità dei proiettili all’uranio impoverito «nel generare le nanopolveri, che sono, in effetti, la vera causa dell’induzione di molte forme tumorali. In conclusione, si può affermare, mutuando dalla criminologia, che l’uranio depleto è il mandante e le nano-polveri l’esecutore». Sul tema interviene poi un altro esperto, Carmine Pinto, past president dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), secondo cui «potenzialmente l’esposizione continua ed a basse dosi all’uranio impoverito, come quella che potrebbe essersi determinata a danno dei militari in missioni ed esercitazioni, può essere cancerogena».
«Ci sono già 72 sentenze a favore del nesso causa-effetto tra inquinamento bellico e patologie dei soldati e dei cittadini che stanno attorno ai poligoni». Così interviene la fisica Antonietta Gatti, esperta di nanopatologia e consulente di diverse commissioni parlamentari sull’uranio impoverito e del Pm Domenico Fiordalisi, che in Sardegna ha aperto il primo processo sui cosiddetti «veleni» di Quirra nel poligono militare di Perdasdefogu. «A Quirra - spiega - oltre ai soldati ci sono dei pastori e loro famiglie che si sono ammalati di tumore. Queste persone hanno respirato le polveri delle esplosioni. Anni fa per il Pm Fiordalisi avevo analizzato il cadavere di un pastore che il magistrato aveva fatto riesumare: all’interno del canale midollare della tibia ho trovato la testimonianza dell’inquinamento bellico che lui aveva respirato e mangiato nel corso della sua vita».

Le accuse alla magistratura:

La Relazione mette nel mirino anche la magistratura penale che non interviene sistematicamente a tutela della sicurezza e della salute dei militari ed il risultato è «devastante»: nell’Amministrazione della Difesa continua, infatti, «a diffondersi un senso d’impunità» mentre tra le vittime e i loro parenti un dilaga «uno sconfortante senso di giustizia negata». E non c’è solo l’uranio a minacciare la salute di donne e uomini in divisa: l’amianto è presente in navi, aerei, elicotteri. Tanto che la Commissione ha accertato che «solo nell’ambito della Marina Militare 1.101 persone sono decedute o si sono ammalate per patologie asbesto-correlate». Criticità sono emerse nei poligoni (con Capo Teulada «simbolo della maledizione che per troppi decenni ha pesato sull’universo militare») e desta poi «allarme» la situazione missioni all’estero, con «l’esposizione a inquinanti ambientali in più casi nemmeno monitorati».

APPROFONDIMENTO:

L'uranio impoverito è lo scarto del procedimento di arricchimento dell'uranio. La miscela di 235U e 238U, con arricchimento maggiore in 235U della concentrazione naturale (0,7110%), costituisce l'uranio arricchito utilizzato come combustibile nelle centrali nucleari e come principale elemento detonante nelle armi nucleari. Il materiale risultante consiste principalmente in 238U, che ha una minore attività specifica dell'uranio naturale. Il termine è una traduzione dall'inglese depleted uranium, che a volte viene tradotto gergalmente con il termine uranio depleto.


Utilizzi civili:

L'uranio impoverito viene utilizzato in vari campi dell'industria civile. Questo utilizzo è favorito da alcune caratteristiche:
la sua alta densità, che si traduce in un elevatissimo peso specifico;
il basso costo;
la relativa abbondanza (dovuta al fatto che da più di 40 anni si accumula nei depositi materiale di scarto radioattivo);
duttilità;
capacità di assorbire le radiazioni.
I suoi due usi civili più importanti sono come materiale per la schermatura dalle radiazioni (anche in campo medico) e come contrappeso in applicazioni aerospaziali, come per le superfici di controllo degli aerei (alettoni e piani di coda), e navali. Nel disastro aereo di un Boeing 747 ad Amsterdam, nel 1992, si accertò la mancanza di circa 150 kg dell'uranio impoverito, su un totale di 282 kg[4][5]. Esso è usato anche nei pozzi petroliferi come parte delle sinker bars, cioè pesi usati per fare affondare strumentazioni nei pozzi pieni di fango. È usato anche nei rotori giroscopici ad alte prestazioni, nei veicoli di rientro dei missili balistici, negli yacht da competizione come componente della deriva, nelle frecce per il tiro con l'arco e nelle mazze da golf.

Utilizzi militari:


Munizione APFSDS Americana M829; la parte in bianco (a destra) è composta da una lega all'uranio impoverito

Oltre che in applicazioni civili, l'uranio impoverito viene usato nelle munizioni anticarro e nelle corazzature di alcuni sistemi d'arma. Se adeguatamente legato e trattato ad alte temperature (ad esempio con 2% di molibdeno o 0,75% di titanio; temprato rapidamente a 850 °C in olio o acqua, successivamente mantenuto a 450 °C per 5 ore), l'uranio impoverito diviene duro e resistente come l'acciaio temperato (sollecitazione a rottura di ca. 1600 MPa). In combinazione con la sua elevata densità, se usato come componente di munizioni anticarro esso risulta molto efficace contro le corazzature, decisamente superiore al più costoso tungsteno monocristallino, il suo principale concorrente. Per questo, ed essendo inoltre estremamente denso e piroforico (capace di accendersi spontaneamente), negli anni sessanta le forze armate statunitensi iniziarono ad interessarsi all'uso dell'uranio impoverito. La tipica munizione all'uranio impoverito è costituita da un rivestimento (sabot) che viene perduto in volo per effetto aerodinamico e da un proiettile penetrante, chiamato "penetratore", che è la parte che effettivamente penetra nella corazzatura, per il solo effetto dell'alta densità unita alla grande energia cinetica dovuta all'alta velocità. Il processo di penetrazione polverizza la maggior parte dell'uranio che esplode in frammenti incandescenti (fino a 3 000 °C) quando colpisce l'aria dall'altra parte della corazzatura perforata, aumentandone l'effetto distruttivo. Le munizioni di questo tipo vengono chiamate nella terminologia militare API, Armor Piercing Incendiary, ovvero munizioni perforanti incendiarie. Circa 300 tonnellate di uranio impoverito sono state esplose durante la prima guerra del Golfo, principalmente dai cannoni GAU-8 Avenger da 30 mm degli Aerei da attacco al suolo A-10 Thunderbolt, ogni proiettile dei quali conteneva 272 grammi di uranio impoverito. L'uranio impoverito è stato usato anche nella guerra in Bosnia ed Erzegovina, nella guerra del Kosovo e, in misura minore, nella seconda guerra del Golfo.

Liceità dell'uso di uranio impoverito come arma:

I punti rossi indicano le zone in cui sono stati usati munizionamenti ad Uranio impoverito


Nel 2001 Carla del Ponte, allora a capo del Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia affermò che l'uso di armi all'uranio impoverito da parte della NATO avrebbe potuto essere considerato un crimine di guerra. Tuttavia questo punto di vista non è però generalmente accettato, dato che non esiste un trattato ufficiale sul bando delle armi all'uranio impoverito, né leggi internazionali che le vietino espressamente, come fu concluso poco dopo da uno studio commissionato dal predecessore della del Ponte, Louise Arbour.









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DI MARCO LA ROSA
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