IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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Con questo libro Marco La Rosa ha vinto il
PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO
ALTIPIANI DI ARCINAZZO 2014
* MISTERI DELLA STORIA *

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LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

mercoledì 29 gennaio 2014

SHOAH: IL GIORNO DELLA MEMORIA


 IL “GIORNO DELLA MEMORIA”

VOLUTAMENTE NON HO POSTATO NULLA IL GIORNO 27. IN COMPENSO HO LETTO MOLTO DI COLORO CHE NE HANNO SCRITTO. HO QUINDI CONSEGUITO UN VANTAGGIO IN TERMINI D' ISPIRAZIONE, SE MAI CE NE FOSSE STATO BISOGNO.
E’ STATO UN BENE PERCHE’ LE RIFLESSIONI CHE MI HA SUGGERITO IL CARO AMICO MIGUEL MI HANNO PORTATO ANCORA PIU’ IN PROFONDITA’. MI HANNO PERMESSO DI ASSIMILARE QUESTO GIORNO NEL MIO ANIMO, COME UN TATUAGGIO INDELEBILE E’ ASSIMILATO DALLA PELLE,  COSI’ SEI COSTRETTO A RICORDARLO TUTTI I GIORNI. E’ SUCCESSO ORA E NON PRIMA, PERCHE’ C’E’ UN MOMENTO ESATTO PER OGNI COSA.

QUANDO HO LETTO LE PAROLE DI LIZZIE DORON: “Tuttavia si pone la domanda: come rendere costruttivo, sensato, attuale il giorno della memoria? Non ho una risposta a questo, ma solo alcuni pensieri.
Il primo è lo studio. Al ricordo, alla cerimonia, alla commozione deve essere sempre fatto precedere uno studio, poiché non c'è niente di più vacuo e transitorio di una celebrazione emotiva priva di una profonda conoscenza e comprensione della Storia. Nessuno sviluppo della memoria è possibile senza conoscenza.
Credo poi che oggi si debba trovare il coraggio e la saggezza per accostare al ricordo della Shoah lo studio e la presa di coscienza di eventi contemporanei che toccano il tema dei diritti dell'uomo, delle privazioni, della povertà, ogni tema che veda l'umanità soccombere in qualsiasi luogo del mondo. Ricordare i morti, ma pensare anche ai vivi”. (DA:” Il difficile senso della memoria sulla Shoah”  )

HO CAPITO CHE QUESTO ERA IL MOMENTO,  NON PRIMA E NON DOPO.
DEVO RINGRAZIARE ANCHE SERGIO DI CORI MODIGLIANI,  UN GRANDE MAESTRO DI PENNA, PENSIERO E VITA CHE CON LA SUA RIFLESSIONE: “La sindrome di Bolechow” , HA COMPLETATO IL MIO “TATUAGGIO” IN MODO PERMANENTE.

MLR

BUONA LETTURA


 “Il difficile senso della memoria sulla Shoah”
Da:
http://www.repubblica.it/cultura/2014/01/27/news/giornata_della_memoria_lizzie_doron-77002574/

Ospitiamo un contributo della scrittrice israeliana, in Italia per una serie di incontri sull'Olocausto: "Non posso che constatare come questa mutazione della memoria abbia completamente seppellito quelle testimonianze intime, genuine, dolenti, anche sarcastiche che ho vissuto da bambina"

di:  LIZZIE DORON

27 gennaio 2014

"Dopo la Shoah, verso la vita"

PER RICORDARE abbiamo avuto bisogno di una legge. Il giorno della memoria in Israele è stato sancito dal parlamento nel 1959 dopo una battaglia pubblica condotta dai sopravvissuti. "In questo giorno," recita la legge "si rispetteranno in tutti i luoghi del paese due minuti di silenzio, si terranno iniziative e cerimonie, le bandiere saranno a mezz'asta, i locali di svago chiusi, i programmi della radio saranno dedicati all'argomento". Il giorno della memoria internazionale è stato decretato dall'Onu nel 2005 con una risoluzione che richiama al ricordo della Shoah in modo che altri genocidi non possano più essere perpetrati in futuro. Come tutte le leggi, anche queste devono essere applicate. Ma come?
Nei primi anni dello Stato d'Israele il problema non si poneva, dal momento che la Shoah era rimossa dalla coscienza collettiva del paese che amava piuttosto farsi suggestionare dalla potenza di Tzahal, il nostro "Esercito per la difesa di Israele" che forse era anche un "Esercito per la terapia di gruppo di Israele". I sopravvissuti, la loro debolezza, il loro essersi arresi e fatti deportare nei campi "come pecore al macello", questo era d'intralcio per un paese appena nato, che voleva essere forte, che avrebbe dovuto combattere e che desiderava far sorgere un nuovo ebreo indipendente dalle polveri della diaspora. I soldati invece erano belli, giovani e pieni di vita e ardore per il futuro.
Ricordo bene come li ammirassi da bambina, una bambina che viveva in un quartiere di sopravvissuti e che da lì sognava di fuggire per raggiungere qualche kibbutz. Un quartiere dove la memoria era relegata ai sussurri notturni delle donne nei cortili, alla follia di Djusia, la nostra vicina, che raccontava solo al suo cane di come si fosse costretta a sorridere mentre uccidevano sua madre, pensando, povera bambina, che così non si sarebbero accorti che era ebrea; o ai silenzi di mia madre che ad ogni domanda rispondeva: "Io penso ai morti, te pensa ai vivi". E queste parole rimangono fino ad oggi in me come una domanda su come gestire la memoria.
In seguito al processo Eichmann, all'esposizione pubblica e dirompente della Catastrofe, il ricordo della Shoah ha iniziato un nuovo percorso inarrestabile, ramificatosi in molte direzioni, gonfiandosi sempre di più, portando le sofferenze e le immagini dei sopravvissuti al centro dell'immaginazione collettiva, fino a conquistarsi un posto fondante nell'identità degli israeliani.
Il giorno della memoria è diventato il simbolo e l'apice di questo processo fatto di cerimonie pubbliche, programmi educativi, comitive ad Auschwitz, discorsi, programmi radio e TV, canti e poesie, libri e film, un coinvolgimento generale che a tratti farebbe pensare a una vera e propria industria della memoria - nella quale si possono trovare cose positive e costruttive ed altre banali e retoriche.
Anche se sono abituata a cercare sempre il lato buono delle cose, non posso che constatare come questa mutazione della memoria abbia completamente seppellito quelle testimonianze intime, genuine, dolenti, anche sarcastiche che ho vissuto da bambina nel mio quartiere, ed è pungente la sensazione che nient'altro potrà mai eguagliare la testimonianza di quelle persone che portavano avanti la propria memoria nella solitudine delle proprie case, nell'ombra dei cortili. Per questo insisto forse a parlare solo di loro nei miei libri.
Ma questo significa forse che dovremmo dire: "Aboliamo il giorno della memoria!" o "Sono contro il giorno della memoria!". Non credo. Per diversi motivi.
Il primo sono i giovani, gli studenti che si affacciano al mondo e alle riflessioni sul mondo. Penso che essi meritino di poter affrontare lo studio della Shoah, come punto di partenza per prendere coscienza di temi decisivi come la presenza del male nel mondo, i diritti umani, la libertà di pensiero. Essi sono vergini rispetto alle tematiche della memoria, ogni generazione è anche una nuova possibilità di rimodellare e migliorare il nostro modo di fare memoria.
Questo ci porta a un secondo motivo, più filosofico. Penso che il senso della vita di un essere umano sia quello di migliorarsi, di studiare, di sfidare se stesso, di progredire; dunque cancellare una questione difficile - come il fare memoria appunto - non può essere una soluzione, ma è solo una mancanza di responsabilità e una rinuncia al senso della nostra esistenza.
Un terzo motivo è il valore che voglio comunque dare alla collettività. Il giorno della memoria mette in gioco moltissime persone, anzi, cittadini; essi sono tutti coinvolti in un progetto comune il cui significato di fondo è nobile e può essere costruttivo. So per esperienza che moltissime di queste persone sono mosse da sentimenti puri e un limpido desiderio di confrontarsi. Credo che non dovremmo frustrare questo sforzo collettivo, nonostante i rischi di banalizzazione e sacralizzazione della memoria.
Tuttavia si pone la domanda: come rendere costruttivo, sensato, attuale il giorno della memoria? Non ho una risposta a questo, ma solo alcuni pensieri.
Il primo è lo studio. Al ricordo, alla cerimonia, alla commozione deve essere sempre fatto precedere uno studio, poiché non c'è niente di più vacuo e transitorio di una celebrazione emotiva priva di una profonda conoscenza e comprensione della Storia. Nessuno sviluppo della memoria è possibile senza conoscenza.
Credo poi che oggi si debba trovare il coraggio e la saggezza per accostare al ricordo della Shoah lo studio e la presa di coscienza di eventi contemporanei che toccano il tema dei diritti dell'uomo, delle privazioni, della povertà, ogni tema che veda l'umanità soccombere in qualsiasi luogo del mondo. Ricordare i morti, ma pensare anche ai vivi.
E' forse è per questo che continuo a scomporre tutto l'apparato costruito intorno alla memoria che mi separa dalle parole, gli sguardi, i gesti di quei sopravvissuti che ho conosciuto da bambina - per poter ritornare a mia madre e chiederle: "Mamma, come si fa a pensare ai vivi?".
Scrivendo, mi viene in mente che parecchi anni fa un editor mi disse: "Lizzie, peccato che con le tue capacità scrivi solo di Shoah, la Shoah non vende, dovresti scrivere una storia d'amore".
Se lo dovessi rincontrare oggi, gli direi: "Avevi torto, la Shoah vende...". Ma questo non significa che non vorrei tanto poter scrivere una storia d'amore.
Lizzie Doron è nata a Tel Aviv nel 1953. In Italia i suoi romanzi sono pubblicati dalla Casa Editrice Giuntina: 'Perché non sei venuta prima della guerra?', 'C'era una volta una famiglia', 'Giornate tranquille', 'Salta, corri, canta'. Ad aprile uscirà il nuovo romanzo 'L'inizio di qualcosa di bello'. In questi giorni è in Italia per tenere delle conferenze sulla Memoria.


La sindrome di Bolechow è la malattia dell'Europa che la memoria storica della Shoah ci ricorda.

di: Sergio Di Cori Modigliani

La sindrome di Bolechow è la malattia perniciosa dell'Europa.
Ed è da quella che dobbiamo difenderci e salvaguardarci.
E' contro questo morbo che dobbiamo unirci, per combatterlo.

Oggi, 27 Gennaio, si commemora la "giornata della memoria", a ricordo dello sterminio di sei milioni di ebrei -oltre agli zingari, agli omosessuali, ai disabili, a coloro che venivano identificati come appartenenti a cosiddette razze inferiori- ad opera dei nazisti durante la seconda guerra mondiale.
Considerando il fatto che i governi italiani sono stati (e tuttora sono) maestri nel pianificare, organizzare e diffondere la consuetudine dell'Alzheimer sociale, come italiano, la giornata della memoria in Italia, la considero un ossimoro.

Fino a pochi anni fa veniva chiamato "l'olocausto degli ebrei", ma grazie alla nobile, intelligente sapienza spirituale, (nonchè eccezionale volontà) di Karol Woytila, al secolo Papa Giovanni Paolo II, è stato consentito di non usare più quel termine sostituendolo con la parola "Shoah".
Olocausto, infatti, è un termine che proviene dal greco e indica "colui che si sacrifica volontariamente, il Giusto, per consentire il trionfo del Bene Comune della collettività". Se traducete il termine "olocausto" in giapponese, ad esempio, risulta la parola "kamikaze". Nella tradizione religiosa talmudica ebraica, il termine olocausto è considerato un atto sublime perchè deriva dalla scelta interiore di chi vuole offrire, da eroe, la propria vita per salvare gli altri, fin dal 1945 era stato usato come consuetudine per indicare l'uccisione degli ebrei. Questa norma diffusa ha prodotto l'insorgere di quel filone nazista negazionista che sosteneva (e tuttora sostiene) che fosse stata per l'appunto una scelta degli ebrei da loro stessi voluta -l'olocausto"- ovvero: quella di farsi uccidere in qualche migliaio per giustificare poi la necessità di costruirsi uno Stato.
Grazie a Papa Woytila, che ha accettato la definizione data dagli stessi ebrei, e ha introdotto e imposto nel mondo cattolico occidentale il suo uso comune, è stato accettato per convenzione collettiva la parola ebraica "Shoah" che vuol dire catastrofe, eliminando per sempre l'ambiguità legata al termine olocausto.

Il genocidio degli ebrei ad opera dei nazisti è stato studiato sotto ogni punto di vista. L'aspetto più profondamente sconcertante di questa vicenda consiste nella "non comprensibilità" del comportamento dei nazisti, impossibile da prevedere, e quindi prevenire, per potersi difendere.

Come fare, oggi, (mi sono chiesto, me lo chiedo sempre) a commemorare in maniera adeguata la giornata della memoria, senza sovraccaricare di piatta retorica questa data?
E ancora: come fare a conferire alla memoria il suo valore più alto e adeguato, cioè quello di un uso efficace e pragmaticamente nobile, che ci consenta di poter usufruire di un evento storico per trarne nutrimento (e quindi suggerimento) tale da consentirci di evitare l'avvento di una nuova forma di nazismo, oggi, per evitare un ennesimo genocidio?.

Ho scelto ciò che accadde a Bolechow, da cui la sindrome del titolo.

Tutti ormai, in Europa, hanno incorporato e accettato l'idea che i nazisti fossero dei criminali sanguinari. Ma questo specifico episodio che qui vi ripropongo ci aiuta a comprendere come, in verità, si trattasse della più pericolosa forma esistente di pazzia collettiva: una pazzia lucida.

Accadde il 14 novembre del 1941.

L'episodio si è verificato a Bolechow, una piccola cittadina europea che si trova in una zona molto particolare, la Galizia orientale, unica nel suo genere: al confine tra la Prussia, la Polonia, l'Ucraina. Una zona di frontiera, nella quale, nel secolo XVI, un illuminato aristocratico dell'epoca, il Duca di L'vov, compì un atto inconcepibile per quei tempi: abolì la schiavitù, praticò il rispetto della diversità, l'accoglienza multi-etnica, e impose la pratica alla pari di qualunque forma di credo religioso. Non solo. Mise la propria ricchezza al servizio della collettività che per questo fatto lo riverì, lo rispettò e lo amò, costruendo scuole pubbliche, ospedali gratuiti e accogliendo i profughi dalla penisola iberica che nel 1492 si sparpagliarono per l'Europa fuggendo dal Tribunale dell'Inquisizione. E così, a Bolechow, nei primi anni del '500, cominciarono a convivere in uno stato di pacificazione e di armonia -tutti insieme- cattolici polacchi, ebrei spagnoli, arabi mussulmani, cosacchi ucraini, pastori cristiano-ortodossi. Essendo un posto di frontiera, dopo la scomparsa della dinastia ducale, nei secoli, la cittadina passò da un padrone all'altro: diventò possedimento della Polonia, poi dell'Ucraina, poi della Russia, poi della Prussia, poi dell'Impero austro-ungarico, poi di nuovo della Polonia, poi dell'Urss, e infine invasa dalle truppe tedesche nel 1941. La popolazione locale si abituò e si adattò ai regnanti che si succedevano, senza mai modificare la propria struttura, condividendo il territorio in una ricca forma poli-etnica davvero unica in Europa.

Finchè, da Berlino, un piovoso giorno dell'autunno del 1941, non arrivò il comandante della Gestapo che impose la propria Legge. Il 30 ottobre convocò il capo della comunità ebraica al quale comunicò che dovevano pagare una fortissima tassa per evitare di essere tutti deportati. E quelli pagarono subito.
Dopo due giorni, durante la notte, la Gestapo rastrellò 2.000 ebrei, li condusse alla periferia della cittadina e li uccise tutti.
E dieci giorni dopo, il 14 novembre, si verificò "l'episodio".
Il comandante tedesco convocò il capo della comunità ebraica e gli spiegò che erano state uccise quelle persone per dare un esempio di efficienza e far capire a tutti che cosa sarebbe capitato loro se non avessero eseguito gli ordini. Consegnò una nutrita documentazione, composta da ben dodici quaderni, per complessive 150 pagine, nella quale, con una calligrafia minuta, erano scritti i costi dell'operazione: numero delle pallottole usate per uccidere i 2000 ebrei, costo della benzina usata dai camion per andare a prelevare i corpi e portarli in aperta campagna e cremarli, il costo per le pale e le zappe, il costo per unità di lavoro di ogni operaio che la Gestapo era stata costretta ad assumere per trasportare i corpi, e chiese alla comunità ebraica di pagare (così recita il documento ufficiale) "i danni materiali determinati dall'atto di esecuzione del piano di pulizia etnica per il rinnovamento della razza".
I nazisti chiesero alla comunità ebraica di Bolechow di pagare il costo dell'uccisione di ben 2000 dei loro componenti.
In cambio, quelli che erano ancora vivi sarebbero stati risparmiati.
La comunità, già terrorizzata per ciò che era accaduto, pagò la cifra richiesta. Chiese di diluire i pagamenti per raccogliere l'intera cifra e venne loro consentito di pagare a rate, in dieci mesi. Un anno dopo, venti giorni dopo aver saldato l'ultima rata, vennero tutti deportati ad Auschwitz.
Non sopravvisse nessuno.
Tutta questa trattativa si svolse con lucidità ragionieristica, come se "l'evento" fosse una cosa normale.Gli abitanti del luogo erano talmente presi dal terrore di una follia che loro trovavano "incomprensibile" che accettarono pensando di placare la patologia.
Tutto ciò è stato raccontato in uno splendido volume uscito nel 2006 e scritto in inglese  (in Italia tradotto e pubblicato dalla Neri Pozza editore) che si chiama "Gli scomparsi" a firma di Daniel Mendelsohn, un intellettuale americano che lavora al New York Times come critico cinematografico.

Ho deciso di coniare il termine "sindrome di Bolechow" sulla base di questo evento storico.

Mi permette di capire l' impossibilità di poter comprendere la follia quando essa si presenta mascherata da apparente lucidità razionale.

Per come la intendo io, oggi la sindrome di Bolechow si è diffusa in tutta Europa, permeando con la propria follia di "lucidità apparentemente razionale" l'intero tessuto socio-politico.
Questa malattia parte dal presupposto del non riconoscimento dell'unicità di ogni essere umano in quanto Persona. Oltre a questo, riduce gli individui a numeri ai quali viene sottratta la originalità del loro valore esistenziale, trasformandoli in un dato statistico. La riduzione di un individuo a un numero, una cifra, comporta la disumanizzazione del suo essere, quindi la sua esistenza non viene contemplata nè come valore nè come significato. Gli operatori chiamati a occuparsi di questi "dati statistici", non registrano il fatto di avere a che fare con esseri umani, con esistenze, con vite pulsanti. Per questi impiegati, quegli esseri sono tutti uguali in quanto componenti specifiche di una serialità numerica, quindi intercambiabili, frapponibili, eliminabili, senza provare alcuno scrupolo, o rèmora, o senso di colpa.
E' una patologia del corpus sociale.

Questo è il mio modo di commemorare la Shoa, oggi: ricordare le vite vissute, i milioni di esistenze originali e diverse tra di loro eliminate per il capriccio di un ragioniere ossessivo, che non ha mai pensato di trovarsi di fronte a degli individui, considerando il tutto una pratica da dover sbrigare.
Era ciò che la filosofa Hanna Arendt intendeva dire quando definì il nazismo "La banalità del male".

Noi europei, e noi italiani, viviamo oggi in preda a una malattia sociale che si chiama la sindrome di Bolechow. Coloro che hanno già ucciso i membri della nostra comunità collettiva di cittadini inermi, coloro che ci hanno già depredato, sfruttato ed espoliato, vengono a chiedere a noi di pagare il conto della loro espoliazione.

Questo è l'insegnamento che la memoria storica mi regala.

Noi ci alziamo ogni mattina e con tutto l'entusiasmo del mondo provocato dalla vitalità della nostra voglia di vivere, per amore di noi stessi, della nostra moglie, marito, figli, genitori, amici, membri della comunità nella quale siamo inseriti, noi andiamo a lavorare per pagare con inoppugnabile regolarità coloro che ci hanno rovinato e seguitano a rovinare le nostre esistenze. Siamo diventati gli ebrei di Bolechow, e così ci illudiamo che le banche prima o poi cambieranno e cominceranno a dare credito a chi ne ha bisogno; viviamo nella paura coltivando la speranza che i ministri, il governo finalmente, si occupino anche di noi, che i partiti pensino alla responsabilità che hanno delle nostre esistenze, pensando che "loro" ci salveranno perchè, prima o poi, capiranno la nostra umanità e riconosceranno in noi la valenza del valore della originale narrativa della nostra esistenza individuale.
E' un'illusione, come quella di quei poveretti che finirono tutti dentro a un forno.

Questa è la consapevolezza che mi regala il giorno della memoria.

Se penso alla nostra classe politica dirigente non penso in termini di complotto, o pensando che siano incapaci e incompetenti, proprio no. Me li sto immaginando come quell'ufficiale della Gestapo che trascorse diverse notti insonne per redigere una minuziosa documentazione sui costi delle pallottole, descritte una per una a seconda del modello d'arma usate, per consegnare poi ai membri della comunità dei sopravvissuti l'elenco dei debiti da pagare, sentendosi contento di aver fatto un ottimo lavoro.
Se li ascolto raccontarci come hanno deciso e stanno decidendo di risolvere la crisi economica, la mancanza di lavoro, l'immobilità del mercato, ho la sensazione di essere diventato un semplice dato statistico, di avere a che fare con una follia lucida che, per un umano, non è possibile da comprendere.
Bankitalia, oggi, ha diffuso i dati ufficiali sullo stato dell'economia della nazione. Risulta -statisticamente- che il 10% della popolazione possiede il 48,5% della ricchezza collettiva. Risulta anche che il 9,8% della popolazione ha aumentato nell'ultimo biennio il proprio reddito di un + 65%, mentre il 72% delle famiglie lo ha diminuito di un - 7,5%. I poveri sono aumentati del 125% nell'ultimo quadriennio e i consumi sono crollati. Sia Enrico Letta che il Ministro del Tesoro, Saccomanni, hanno detto che "questi dati ufficiali ci confermano che non soltanto la recessione è finita, ma che l'Italia è ormai lanciata verso la ripresa", così c'è scritto nel comunicato ufficiale del governo.
I membri di quel 9,8% della popolazione sono quelli che ci governano.

E non conviene neppure mettersi lì a sperare che arrivi un esercito di liberazione. Non esiste.

Dobbiamo guarire dalla sindrome di Bolechow.

Ciascuno di noi, fino a guarire l'intera società.




CONTRIBUTI:

DAL NOSTRO COLLABORATORE DOTT. MIGUEL LUNETTA (BRASIL)

Folha de S.Paulo

Um jornal a serviço do Brasil

segunda-feira, 27 de janeiro de 2014

     Ban Ki-Moon

Visita a Auschwitz
Pensei nos prisioneiros, horas em pé, nus, num clima gelado, arrancados de suas famílias, de cabelos rapados esperando as câmaras de gás
A lembrança do Dia Internacional em Memória das Vítimas do Holocausto em 27 de janeiro --o aniversário da libertação do campo de concentração de Auschwitz-- acontece em um momento no qual, à nossa volta, há alertas para os perigos do esquecimento.
Neste ano, assinalam-se duas décadas desde o genocídio em Ruanda. Conflitos na Síria, Sudão do Sul e República Centro-Africana assumiram uma dimensão perigosa. O fanatismo ainda percorre nossas sociedades. O mundo pode e deve fazer mais para eliminar o veneno que levou aos campos de concentração.
Visitei Auschwitz-Birkenau em novembro. Um vento frio soprava naquele dia, o chão sob os meus pés era rochoso. Mas eu tinha um sobretudo e sapatos resistentes. Meus pensamentos foram para aqueles que não tinham nem uma coisa nem outra: os judeus e outros prisioneiros que outrora povoaram o campo.
Pensei naqueles prisioneiros passando horas em pé, nus, num clima gelado, arrancados de suas famílias, seus cabelos rapados ao serem preparados para as câmaras de gás. Pensei naqueles que foram mantidos vivos apenas para trabalhar até a morte. Refleti sobre o quão insondável ainda é o Holocausto. A crueldade foi tão profunda, a visão de mundo nazista tão deformada, a mortandade tão calculada.
O campo de Birkenau parecia estender-se até o horizonte --uma vasta fábrica de morte. O Livro dos Nomes com a identificação de milhões de vítimas judias enchia uma sala, ainda que contivesse apenas uma fração do total, que também incluiu poloneses, ciganos, sinti, soviéticos, dissidentes, homossexuais, pessoas com deficiência e outros.
Fiquei comovido com um vídeo mostrando a vida dos judeus na Europa em 1930 --refeições em família, idas à praia, performances artísticas, casamentos e outros rituais, todos barbaramente extintos com o único assassínio sistemático na história.
Não podemos construir o futuro sem lembrar o passado. O que aconteceu pode se repetir. Combater o ódio está entre as principais missões da ONU. Nossos mecanismos trabalham para proteger as pessoas. Nossos tribunais esforçam-se para combater fazer justiça. Nossos especialistas escrutinam o mundo para detectar indícios de crimes atrozes.

O programa das Nações Unidas sobre o Holocausto vem trabalhando com professores e alunos de todos os continentes para promover os valores universais. Seu mais recente pacote ajudará a introduzir estudos nas salas de aula de países como Brasil, Nigéria, Rússia e Japão.
A poucos passos do crematório de Auschwitz, parei para refletir. Toquei numa cerca de arame farpado --já não eletrificada, mas ainda afiada e intimidante. Senti-me esmagado pela enormidade do que aconteceu e profundamente tocado pela coragem e sacrifício dos soldados e líderes que derrotaram a ameaça nazista.
Minha esperança é que a nossa geração e as que virão evitem que tal horror volte a acontecer, e construam um mundo de igualdade para todos.
BAN KI-MOON, 69, é secretário-geral da ONU (Organização das Nações Unidas). Foi ministro das Relações Exteriores e do Comércio da Coreia do Sul
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