IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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VIDEO SINOSSI DELL'UOMO KOSMICO

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Con questo libro Marco La Rosa ha vinto il
PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO
ALTIPIANI DI ARCINAZZO 2014
* MISTERI DELLA STORIA *

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LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

lunedì 30 giugno 2014

PSICOLOGIA E PSICHIATRIA: NON SCIENZE MA DISCIPLINE UMANISTICHE…RIMETTIAMO A POSTO LE COSE!


di: Dott. Alberto Brugnettini 

Psicologia (studio dell’anima) e psichiatria (medicina dell’anima) si occupano di una cosa che, per definizione, non può essere misurata né divenire oggetto di osservazione scientifica secondo lo standard galileiano. Queste discipline, dunque, dovrebbero afferire al settore della conoscenza umanistica, non scientifica: l’infondata pretesa di scientificità è spesso causa di abusi e violazioni dei diritti umani.
Il potere psichiatrico nelle aule di tribunale, il potere di decidere sulla capacità d’intendere o volere, o stabilire quale genitore debba avere la custodia dei figli in un caso di divorzio, si basa sul presupposto che la psichiatria sia una scienza, in grado di produrre perizie oggettive quanto quelle ingegneristiche o mediche. Queste perizie, invece, sono completamente arbitrarie e soggettive. E' sufficiente assistere a un processo per rendersi conto di come le diagnosi presentate dall’accusa e dalla difesa sullo stesso imputato siano sempre diametralmente opposte (non semplicemente “divergenti”) – un divario che, per frequenza ed entità, non ha eguali nelle discipline mediche e scientifiche.
In maniera simile, il potere di ordinare un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) presuppone l'esistenza di  un metro di giudizio oggettivo per stabilire chi sia bisognoso di cure urgenti ma troppo insano per rendersene conto. Attenzione,  si accetta che - per esempio - un epatologo possa conoscere lo stato del tuo fegato meglio di te.  Egli, però, può produrre prove oggettive a riguardo, mentre lo psichiatra può produrre solamente la sua opinione – tipicamente contraria a quella della persona soggetta alla cosiddetta cura. Inoltre, nonostante l'oggettività delle sue diagnosi, l'epatologo non esegue trattamenti coatti.
L’idea di obbligare una persona alle cure psichiatriche, come nel TSO o negli OPG (ospedale psichiatrico giudiziario), è di per sé assurda.  Se le cosiddette malattie mentali consistono - per definizione - in pensieri o comportamenti, il risultato di queste presunte cure dovrebbe essere un cambiamento di pensiero o comportamento. Non si vede però come una persona possa arrivare a modificare il proprio punto di vista, o il proprio comportamento, se le cure che dovrebbero causare questi cambiamenti non sono scelte da lui ma gli sono imposte con la forza. Gli psichiatri, come colti da delirio di onnipotenza, si ritengono depositari di una conoscenza esoterica con cui leggere i pensieri altrui e modificarli a piacere.
Questo modo di agire rivela la natura essenzialmente politica della psichiatria, organo di controllo sociale simile alla polizia (e niente affatto alla medicina) che trova le sue origini nell'inquisizione. Come moderni Torquemada, gli psichiatri usano la forza per obbligare il malcapitato a confessare e ammettere la sua malattia: condizione necessaria per essere dichiarano "guarito". Il loro manuale, al pari del Malleus Maleficarum, lo insegna: come una strega, se il paziente nega la malattia, questa negazione è essa stessa prova di malattia – un comma 22 senza scampo. Persino  l'uso dell'eufemismo per mascherare la violenza è identico, e l'auto da fé diventa trattamento sanitario.                                                                                                                                                                 A riprova della natura essenzialmente politica della psichiatria, si veda il modo bizzarro con cui vengono scoperti (o cancellati) i cosiddetti disturbi mentali.  Per esempio, nell'ultima edizione del DSM (Manuale Diagnostico e Statistico – il testo sacro della psichiatria) la pedofilia era stata definita come un "orientamento sessuale". La cosa causò innumerevoli reazioni indignate, e l'APA (American Psychiatric Association) fece marcia indietro.  Sorte opposta era toccata all'omosessualità, considerata malattia fino agli anni settanta e poi depennata dal DSM per motivi di correttezza politica. Non intendo qui entrare nel merito, e stabilire se pedofilia o omosessualità debbano essere considerate malattie o meno: in ogni caso il concetto di malattia mentale è talmente vago e opinabile da consentire qualsiasi interpretazione. Critico, invece, il metodo antiscientifico: l'alzata di mano su opinioni dettate da motivi di opportunità. Come se un congresso di epatologi, sull'onda di un’ipotetica accettazione sociale dell'abuso di alcol, si trovasse a stabilire con voto a maggioranza, e senz'altra osservazione scientifica, che l'epatite non è più una malattia.

Da un po' di tempo sul web spopolano gli allerta riguardo la pericolosità degli psicofarmaci (sacrosanti, basta leggere i bugiardini per rendersene conto) ma il problema, come si diceva una volta, è a monte: lo psicofarmaco senza effetti collaterali non potrà mai esistere perché la stessa pillola è l'effetto collaterale.

Infatti, come l'uso del concetto di malattia mentale per definire un comportamento lede i principi di libertà e responsabilità (chi ruba non è più un ladro ma un cleptomane, chi incendia non è un incendiario ma un piromane, ecc.), l’idea stessa di curarla con una pillola mina i concetti di libero arbitrio e agenzia morale. La persona non è più un agente morale dotato di libero arbitrio, ma un robot governato da leggi chimiche. Si arriva addirittura a prescrivere stimolanti anfetaminici ai bambini cosiddetti iperattivi. Ma attenzione: a prescindere dalla pericolosità di queste pillole, riconosciuta da innumerevoli pubblicazioni scientifiche, stiamo crescendo una futura generazione avvezza a utilizzare pillole per risolvere i problemi del vivere. A questo proposito si veda la sfacciataggine con cui ancora oggi viene invocato lo squilibrio chimico nel cervello come causa dei disturbi mentali: questo modello non è mai stato dimostrato scientificamente, e oggi gli stessi  neuroscienziati ammettono che si è trattato di un abbaglio, ma si continua a usarlo a scopo propagandistico per vendere psicofarmaci.

Intendiamoci: alcune persone sono soggette  a sofferenza emotiva, hanno seri problemi a rapportarsi con gli altri e necessitano di aiuto. Ma la professione di chi fornisce questo aiuto dovrebbe essere inquadrata nell'alveo delle conoscenze umanistiche – non scientifiche. E, soprattutto, i loro rimedi non dovrebbero mai essere somministrati in maniera coatta, ma solo su base volontaria. Esistono persone -  psicoanalisti, maestri yoga o di meditazione, preti, comportamentalisti ecc. -  che aiutano la gente nei momenti difficili, senza però atteggiarsi a medici o violare con la forza i diritti fondamentali della persona.

 Autore: Alberto Brugnettini – fisico

CCDU onlus

Fonte: ccdu.org

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venerdì 27 giugno 2014

CELLULE STAMINALI E TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO



Segnalato  da:  Dr. Giuseppe Cotellessa (ENEA)

Staminali, al Bambin Gesù nuova tecnica di trapianto di midollo da genitori a figli.

da: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/17/staminali-al-bambin-gesu-nuova-tecnica-di-trapianto-di-midollo-da-genitori-a-figli/1030983/

Cellule staminali:

Le cellule staminali in Italia non sono solo fonte di polemiche e contenziosi nelle aule giudiziarie. Lo dimostra una nuova procedura, messa a punto dai ricercatori dell’Ospedale pediatrico Bambin Gesù, che ha già salvato la vita di decine di bambini con malattie genetiche rare o tumori del sangue. Illustrata oggi a Roma, la metodica ha già avuto un primo riconoscimento internazionale con la presentazione dei risultati lo scorso dicembre a New Orleans, nel corso del congresso della Società americana di ematologia, e la pubblicazione sulla rivista specializzata “Blood”. “Si tratta di una tecnica innovativa di ingegneria dei trapianti di midollo che, in assenza di donatore compatibile, consente il trapianto dai genitori ai figli”, spiega Franco Locatelli, responsabile del reparto di Oncoematologia e medicina trasfusionale dell’ospedale della Santa Sede. “Il protocollo messo a punto nei nostri laboratori – gli fa eco entusiasta Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’ospedale romano – rappresenta una pietra miliare nella terapia di molte patologie del sangue ed è destinato a incidere radicalmente sulla loro storia naturale”.

Il metodo è stato testato finora su circa 70 bambini affetti da leucemie e su una trentina di piccoli pazienti con malattie rare che coinvolgono il sangue o il sistema immunitario, come la talassemia, l’immunodeficienza severa, o l’anemia di Fanconi. Ma in cosa consiste la nuova metodica? “La tecnica – chiarisce Alice Bertaina, responsabile dell’unità trapianti di midollo del Bambin Gesù – consiste nel ripulire le cellule staminali del donatore, che può essere indifferentemente uno dei due genitori, eliminando solo quelle cattive che causano le principali complicazioni, ma preservando, allo stesso tempo, una grande quantità di cellule buone che proteggono il paziente dalle infezioni, soprattutto nei primi mesi successivi al trapianto. Questo metodo di trapianto di cellule staminali – aggiunge la studiosa – consente di avere oltre il 90% di probabilità di cura definitiva, e di ottenere una percentuale di successi confrontabile a quella che si aveva cercando un donatore compatibile”.

Fino a pochi anni fa le tecniche di manipolazione cellulari adoperate nei trapianti di midollo osseo comportavano, infatti, un elevato rischio di mortalità, a causa soprattutto di infezioni. Inoltre, i trapianti da uno dei due genitori erano caratterizzate da una probabilità di successo significativamente inferiore a quella ottenibile impiegando come donatore un fratello o una sorella, oppure un individuo immunogeneticamente compatibile, identificato al di fuori dell’ambito familiare.

In Italia, nel 2013, sono stati sottoposti a trapianto di midollo da donatore esterno per malattie non maligne 125 bambini. Grazie a questa nuova procedura, secondo gli esperti, almeno altri 40 bambini l’anno, destinati ad esempio a dipendenza cronica da trasfusioni, potranno avere una chance di guarigione definitiva. “Con questa tecnica possiamo offrire a tutti la speranza di un trapianto efficace per diversi tipi di malattie – sottolinea Locatelli -. Nonostante i registri dei donatori volontari di midollo osseo, che contano ormai più di 20 milioni di iscritti, e le banche di sangue cordonale e placentare, pari a 600mila unità in tutto il mondo, infatti, il 30-40% dei pazienti non riesce ancora a trovare un donatore idoneo”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/17/staminali-al-bambin-gesu-nuova-tecnica-di-trapianto-di-midollo-da-genitori-a-figli/1030983/
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Aids, in Usa due pazienti “guariti” dopo trapianto di midollo osseo.

da:  http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/03/aids-in-usa-due-pazienti-guariti-dopo-trapianto-midollo-osseo/645189/


A rivelarlo sono i ricercatori del Brigham and Women's Hospital (Bwh) di Boston, durante l'International Aids Society Conference a Kuala Lumpur.
Nuovo passo avanti nella lotta all’Aids. Altri due pazienti con virus Hiv dopo un trapianto di midollo osseo non hanno più avuto bisogno dei farmaci antiretrovirali e la malattia sembra ‘sparita’ dal loro sangue. A rivelarlo sono i ricercatori del Brigham and Women’s Hospital (Bwh) di Boston, durante l’International Aids Society Conference a Kuala Lumpur. I due casi si aggiungono a quello di Timothy Brown, l’uomo ribattezzato ‘paziente Berlinò e giudicato ‘guarito’ dall’Hiv dopo un trapianto di midollo. “Uno dei pazienti ha trascorso già quasi quattro mesi senza prendere farmaci – affermano i medici – e senza alcun segno del ritorno del virus”. Il team avverte però che “è troppo presto per parlare di una cura definitiva, in quanto il virus potrebbe tornare in qualsiasi momento”.
I due uomini, la cui identità non è stata ancora rivelata, lottavano contro il virus da circa 30 anni. Entrambi hanno sviluppato un linfoma che ha richiesto un trapianto di midollo. Dopo l’operazione, in un caso non è stata rilevata più traccia dell’Hiv nel sangue per due anni, mentre nell’altro paziente sono passati già 4 anni. Tutti e due hanno non prendono più farmaci antiretrovirali (necessari per la cura anti Hiv) dall’inizio di quest’anno, uno da 4 mesi circa e l’altro da 7 settimane. Secondo Kevin Frost, capo Fondazione per la ricerca sull’Aids, “questi risultati forniscono chiaramente nuove importanti informazioni che potrebbero anche modificare le attuali considerazioni sul virus e sulla terapia genica. Anche se il trapianto di cellule staminali non è una valida opzione per le persone con Hiv su vasta scala – aggiunge – a causa dei costi e della complessità, questi nuovi casi potrebbero aiutare a sviluppare nuovi approcci per il trattamento anti Hiv”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/03/aids-in-usa-due-pazienti-guariti-dopo-trapianto-midollo-osseo/645189/

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mercoledì 25 giugno 2014

ESOPIANETI E VITA


Kapteyn b, a 13 anni luce il più antico mondo alieno che potrebbe ospitare la vita

Segnalato dal Dr. MIGUEL LUNETTA

da: http://www.meteoweb.eu/2014/06/kapteyn-b-13-anni-luce-antico-mondo-alieno-potrebbe-ospitare-vita/288422/
di Renato Sansone

Un team di astronomi della Queen Mary University di Londra ha scoperto quello che sembra il più antico mondo alieno che potrebbe essere in grado di ospitare la vita. Denominato Kapteyn b, si trova a 13 anni luce di distanza dal Sole ed ha circa 11,5 miliardi di anni; questo lo rende 2,5 volte più vecchio della Terra e la sua formazione risalirebbe, pertanto, a soli 2,2 miliardi di anni dal Big Bang. “Non è possibile sapere che tipo di vita potrebbe essersi evoluta per un tempo così lungo“, sostiene Guillem Anglada-Escude, autore dello studio. Il sistema planetario che ruota intorno alla nana rossa Kapteyn, è anche composto da un altro pianeta più massiccio che, a quanto pare, sembra essere troppo freddo per ospitare la vita come noi la conosciamo. La scoperta dei due corpi è avvenuta a causa dei cambiamenti nella luce della stella rilevati dallo spettrometro HARP (La Silla Observatory dell’ESO) prima, e da altri due spettrometri HIRES (Osservatorio Keck nelle Hawaii e Magellan Telescope in Cile) successivamente. La nana rossa mostra una massa pari a 1/3 di quella del nostro Sole ed è visibile anche con telescopi amatoriali nella costellazione australe del Pittore. Al momento però, solo alcune proprietà dei suoi pianeti sono note: masse alquanto approssimative, periodi orbitali, e le distanze dalla loro stella che li ospita. Misurando le loro atmosfere con strumenti che sono attualmente in fase di sviluppo, gli astronomi potranno verificare la presenza o la mancanza di acqua e quindi la possibilità o meno, di ospitare forme di vita. “Trovare un sistema planetario stabile con un pianeta potenzialmente abitabile attorno ad una stella molto vicina e’ strabiliante. – ha detto Pamela Arriagada, uno degli autori della ricerca – Questo e’ un altro elemento di prova che quasi tutte le stelle hanno pianeti, e che i pianeti potenzialmente abitabili nella nostra galassia, sono cosi comuni come i granelli di sabbia”. “Siamo sorpresi di aver trovato pianeti in orbita a questa stella“, ha detto Anglada-Escude. Kapteyn b si trova nella zona abitabile della stella, ossia ad una distanza tale dove l’acqua può presentarsi liquida e quindi sostenere la vita come la conosciamo. 

Il pianeta extrasolare completa un’orbita in 48 giorni terrestri, mentre il suo compagno ne impiega 121. Il sistema solare di Kapteyn ha una storia molto intrigante: la stella originariamente apparteneva ad una galassia nana che la nostra galassia, la Via Lattea, ha assorbito e distrutto, obbligando la stella e i suoi “satelliti” nell’orbita dell’alone galattico, una regione di spazio che circonda le galassie a spirale e che si estende oltre il disco galattico.

 Ciò che è rimasto di quella galassia è probabilmente visibile nell’ammasso globulare Omega Centauri, a circa 16.000 anni luce di distanza, che contiene molte migliaia di stelle di età stimata proprio a 11,5 miliardi di anni.  La nuova scoperta, che sarà pubblicata nei Notices della Royal Astronomical Society, fornisce importanti indizi sui processi di formazione dei pianeti nei primi giorni della Via Lattea.


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lunedì 23 giugno 2014

ANCHE LE CELLULE COMUNICANO IN MODO "NON LOCALE"


SENZA COMMENTARE IN MODO PROLISSO, DICO SOLAMENTE CHE, SE LA SCIENZA UFFICIALE NON DIFETTASSE IN MODO PALESE DELL  INTERDISCIPLINARITA, OGGI SAREMMO MOLTO PIU PROGREDITI  ETICAMENTE E SCIENTIFICAMENTE.
LA COMUNICAZIONE COSIDDETTA  NON LOCALE E UN ASPETTO QUANTICO CHE GRAZIE ALLA ZPE, ETERE, VUOTO QUANTO MECCANICO, PRANA, TAOCHIAMATELO PURE COME VOLETE E EVIDENTE ANCHE NEL MACROCOSMO.

MLR



"Cellule Psichiche- scienziati scoprono che le cellule possono comunicare oltre le barriere fisiche

Gli scienziati della UCLA e della Charles R. Drew University of Medicine and Science hanno scoperto un possibile metodo attraverso il quale le cellule tumorali e le cellule morenti comunicano con le vicine cellule nervose sane senza essere fisicamente collegate ad esse.

Il dottor Keith Norris, principale autore della ricerca e assistente decano per la scienza clinica e traslazionale presso la David Geffen School of Medicine presso la UCLA, ha detto che lo studio contribuisce alla comprensione della comunicazione cellulare, che fino ad oggi era nota per essere realizzata soltanto attraverso il diretto contatto o la stimolazione diretta dei recettori nelle cellule di molecole note come ligandi o in ormoni, fattori sintomatici, nervi e altri sistemi.

Sembra ora, affermano i ricercatori, che le cellule siano in grado di comunicare efficacemente attraverso le barriere fisiche. Il loro studio compare nel numero di Gennaio 2013 dellAmerican Journal of Translational Research, sottoposto a peer review. Per lo studio, Norris e i suoi colleghi hanno riferito di come normali cellule nervose isolate in un ambiente chiuso si comportano durante una nota funzione conosciuta come elaborazione dei segnali di calcio.

Il team ha scoperto che quando queste cellule nervose isolate erano circondate da altre cellule nervose sane al di fuori della barriera, avevano le stesse capacità di segnalazione di calcio. Tuttavia, quando le cellule nervose sane isolate erano circondate da cellule tumorali o cellule morenti, hanno elaborato i segnali di calcio diversamente, suggerendo che vi era comunicazione provenienti dalle cellule circostanti.

La barriera fisica tra le cellule ha impedito la comunicazione tra recettori ormonali, ligandi e altre tradizionali forme di comunicazione cellulare. Gli autori Dr. Christopher Reid e Victor Chaban del Life Sciences Institute della Drew University hanno osservato che questa nuova constatazione può rappresentare una forma potenzialmente più elevata di comunicazione cellulare. Scoprire che le cellule tumorali e le cellule morenti possono avere un metodo di comunicazione ancora sconosciuto con altre cellule può portare a nuovi trattamenti per il cancro, invecchiamento e altre malattie.

Sono necessari ulteriori studi per scoprire come si verifica la comunicazione non fisica. "Comprendere i molti modi in cui comunicano le cellule è un importante passo verso lo sviluppo di nuovi approcci per il trattamento della malattia", ha detto il Dott. Steven M. Dubinett, direttore esecutivo della UCLA Clinical and Translational Science Institute (UCLA CTSI).
  
da brig.zero
traduzione a cura della redazione di coscienza.org - Marisa Menna

Dallo SchwartzReport dell'1 febbraio 2013
RIFERIMENTO GIORNALISTICO: American Journal of Translational Research

FONTE coscienza.org

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venerdì 20 giugno 2014

RETRODATATA A 130.000 ANNI LA PARTENZA DALL'AFRICA DELL'HOMO SAPIENS


da: http://www.nationalgeographic.it/scienza/2014/05/13/news/le_origini_delluomo_moderno_sono_pi_antiche-2140509/

Un recente studio condotto da un gruppo internazionale di ricerca, di cui fanno parte anche due genetisti italiani, retrodata a 130 mila anni fa la prima diffusione dell'uomo moderno dal continente africano verso l'Asia.
La prima migrazione dell'uomo moderno dall'Africa sarebbe avvenuta circa 130 mila anni fa, nel Pleistocene medio, e non fra 50 e 75 mila anni fa (nel Pleistocene superiore) com'era stato ipotizzato dagli studiosi in passato; o perlomeno, la dispersione di Homo sapiens si sarebbe verificata in più movimenti migratori.
A confermare questa teoria, già avanzata qualche anno fa anche in base a testimonianze fossili, lo studio di un gruppo internazionale di ricerca composto, fra gli altri, da Guido Barbujani e Silvia Ghirotto, genetisti del Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie dell'Università di Ferrara, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences of theUnited States of America.
I ricercatori hanno analizzato e confrontato i dati genetici e i crani appartenenti a individui di dieci popolazioni moderne - provenienti da Australia, Asia centrale, Africa orientale, Giappone, Melanesia, Filippine, Nuova Guinea, nord e sud dell'India e Sud Africa - arrivando alla conclusione che le differenze fra le popolazioni attuali sono riconducibili almeno a due movimenti migratori: il primo, avvenuto circa 130 mila anni fa, che seguì una rotta meridionale attraverso la penisola arabica, dirigendosi verso Iran, India e Asia meridionale; il secondo, diretto verso l'Eurasia settentrionale, risalente, invece a circa 50 mila anni fa.
Somiglianze non fortuite
"Già negli anni Novanta", racconta Barbujani, "studiando le caratteristiche fisiche (come la forma del cranio e la pelle scura) di alcune popolazioni dell'Asia meridionale e della Melanesia, fra cui i Negritos delle Filippine e gli abitanti delle Isole Andamane, Marta Mirazòn e Robert Foley avevano notato una somiglianza con le popolazioni africane, proponendo che circa 130 mila anni fa si fosse verificata una migrazione diretta dal Corno d'Africa all'Asia meridionale".
"Effettuando i confronti anatomici e genetici ci siamo accorti che le differenze fra le popolazioni attuali si spiegano meglio attraverso un modello di dispersione multipla che prenda in considerazione due movimenti migratori, piuttosto che uno soltanto", spiega Barbujani.
"Studiare la storia delle migrazioni dell'uomo moderno è importante non solo per capire meglio la nostra storia e quella dei nostri antenati, ma anche, per esempio, per approfondire lo studio delle malattie genetiche", continua.

"In questo studio non abbiamo preso in considerazione l'Europa", continua lo studioso. "Nelle prossime ricerche, analizzeremo anche i dati genetici delle popolazioni europee, cosa che ci permetterà di avere molte più informazioni e maggiori dettagli geografici".

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mercoledì 18 giugno 2014

"MISTERI DI OGNI TEMPO"


“Molto spesso non credere alle favole è solo una scusa per rinunciare ai propri sogni e non dover combattere al fine di vederli realizzati”

Manuel Paroletti

E’ proprio questo lo “specchio” della nostra società. Ricondurre tutto ciò che non rientra nel mondo meccanicista ad una favola. E’ più semplice non dover ricercare fuori dai “canoni” prestabiliti e quindi rischiare di dover cambiare i paradigmi filosofici e scientifici. Il mondo di oggi non crede nel  mistero,  il mistero non esiste e non deve esistere.
Questo si ripercuote inevitabilmente sulla personalità in “formazione” delle generazioni studentesche di oggi. Praticamente prive di fantasia, prive del senso del mistero e avulse dalla sete di conoscenza. Viviamo in una società formattata al pensiero “uguale per tutti”.
Penso a come sarebbe bello se nelle scuole si insegnasse la cultura del “Mistero”. Si perché il Mistero esiste eccome, è non è affatto tutto spiegato o spiegabile,  ma esiste la capacità umana di accostarsi al Mistero con rispetto ed umiltà per tentare di sondarlo, come tante menti lungimiranti del passato hanno fatto.
E’ un “testimone” che dobbiamo saper portare alla tappa successiva. Non dobbiamo interrompere quella staffetta che i nostri antenati hanno iniziato in un passato immensamente antico perché è scritto nel nostro DNA.
E’ proprio questo l’invito che Manuel Paroletti ci rivolge con il suo libro: “MISTERI DI OGNI TEMPO, gli infiniti volti dell’ignoto” – edizioni Segno. Un libro magico, che potrebbe benissimo contenere “se medesimo” poiché appena lo aprirete non potrete più chiuderlo finchè non lo avrete avidamente letto per intero.

…buona lettura

MLR

MISTERI DI OGNI TEMPO - EDIZIONI SEGNO

Questo libro vuole essere una vera “enciclopedia del mistero”, cioè un compendio che raccoglie gli enigmi più importanti, interessanti ed avvincenti di ogni epoca e luogo. Partendo da lunghi ed approfonditi studi e da numerosi viaggi, l’autore ha approfondito i più suggestivi fatti inspiegati della storia e dell’archeologia – alcuni noti, altri ancora quasi del tutto sconosciuti. Le tematiche, riunite per gruppi omogenei, spaziano tra i più diversi campi dello scibile misterico, presentando enigmi riconducibili a tutte le principali tipologie esistenti.

lunedì 16 giugno 2014

LA RICERCA DEL SANTO GRAAL


DUE STORICI SPAGNOLI AFFERMANO DI SAPERE DOVE SI TROVA IL SANTO GRAAL

Il Santo Graal, il calice che la tradizione ritiene essere stato usato da Gesù Cristo durante l'Ultima Cena, è stato per secoli l'oggetto del desiderio di teologi, archeologi, alchimisti e despoti in cerca di potere ultraterreno. Eppure, le ricerche fino ad oggi, sembrano essere state vane. Ma due studiosi spagnoli sono convinti di aver individuato l'esatta posizione della reliquia più sacra di tutti i tempi. Secondo la tradizione cristiana, il Santo Graal è stato il calice utilizzato da Gesù Cristo durante l'Ultima Cena con i suoi discepoli.
Per anni è stato oggetto di frenetiche ricerche da parte di teologi, archeologi, cacciatori di tesori e di uomini potenti in cerca di una strada magica per placare la loro sete di potere.
Purtroppo, l'aspetto, l'origine e gli spostamenti del Santo Graal si perdono nelle pieghe della storia, offuscate da una serie di elementi poco chiari.
La domanda che ci si pone, insomma, è se il Santo Graal esista realmente o sia solo una metafora spirituale. Ammesso che esista, dove si troverebbe adesso?
Due ricercatori spagnoli sono convinti di poter rispondere a tale domanda. Margarita Torres e José Ortega del Río hanno trascorso quasi tre anni per ricostruire la storia del calice. I loro risultati sono stati pubblicati in un libro dal titolo "Los Reyes del Graal" (I Re del Graal) presentato poche settimane fa.


I due ricercatori scrivono che il Graal si troverebbe nella basilica di Sant'Isidoro, a León, nel nord della Spagna. Il calice in onice, scrivono i due, è contenuto all'interno di un altro antico calice noto come il Calice di Doña Urraca. Gli storici dicono che la reliquia si troverebbe lì fin dall'11° secolo."Questa è una scoperta molto importante perché aiuta a risolvere un grande puzzle", ha detto la Torres, docente di storia medievale presso l' Università di León. "Crediamo che questo potrebbe essere l'inizio di una meravigliosa nuova fase di ricerca".
La scoperta è avvenuta un po' per caso. I due ricercatori erano inizialmente impegnati nello studio di alcuni resti islamici nella basilica di Sant'Isidoro. Durante le indagini, i due hanno scoperto che due documenti egiziani di epoca medievale menzionavano il calice di Cristo, facendo così cambiare rotta alla ricerca.
Le pergamene raccontano di come i musulmani presero il calice sacro della prima comunità cristiana di Gerusalemme e fu quindi portato a Il Cairo. La reliquia fu poi data ad un emiro in Denia, sulla costa mediterranea della Spagna, in cambio dell'aiuto chiesto dagli egiziani per far fronte ad una grave carestia.
Nel medioevo, gran parte della Spagna era sotto il dominio musulmano. Ma la coppa, al termine dell'occupazione islamica, entrò in possesso del re cristiano Ferdinando I di Castiglia. Torres e del Río ammettono che i primi 400 anni di storia del calice rimangono un mistero e non è possibile dire con certezza se quel calice abbia davvero toccato le labbra di Gesù Cristo.
Con una certa sicurezza, i due storici affermano che la coppa in questione è stata realizzata tra il 200 a.C. e il 100 d.C. Inoltre, a loro parere non c'è alcun dubbio che questo calice sia stato venerato dai primi cristiani come il calice usato nell'ultima cena.
"L'unico calice che può essere considerato come il "Calice di Cristo" è quello che ha compiuto il viaggio fino a Il Cairo e poi da Il Cairo fino a León, cioè questo calice", spiega la Torres a The Irish Times.
Insomma, la ricercatrice spagnola pare essere abbastanza sicura di aver risolto il mistero del Santo Graal. In passato, sono state proposte molte teorie sull'esatta collocazione del calice sacro. Una delle difficoltà maggiori è il fatto che il calice sia stato descritto in maniera molto diversa.
Par alcuni, come per esempio Chrétien de Troyes (1140-1190), la reliquia era simile ad un cesto di frutta, mentre per altri, come il cavaliere e poeta tedesco Wolfram von Eschenbach (1170-1220) era simile ad un vaso di pietra. Una tradizione molto diffusa in Spagna vuole che il Graal sia custodito nella cattedrale di Valencia. Altri credono che il calice si trovi a Gerusalemme, altri ancora che sia custodito nella cattedrale di Genova e…altri addirittura nella cripta del duomo di Berceto sulle colline parmensi, proprio sul cammino francigeno.



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sabato 14 giugno 2014

TERAPIA GENICA: AVANTI MA CON PRUDENZA ...


“BISTURI MOLECOLARI” CORREGGONO I GENI DELLE CELLULE STAMINALI DEL SANGUE

Segnalato da: Dott. Giuseppe Cotellessa (ENEA)

http://salute.aduc.it/staminali/notizia/staminali+bisturi+molecolari+correggono+cellule_129537.php

 Un gruppo di ricercatori dell’Istituto San Raffaele per la terapia genica (Tiget) di Milano è riuscito per la prima volta a riscrivere il Dna di cellule staminali del sangue umano grazie all’editing del genoma (tecnica introdotta per la prima volta dal premio Nobel Mauro Capecchi) che consente di correggere gli errori direttamente sul gene malato.
In particolare, grazie a “bisturi molecolari”, gli scienziati sono riusciti a riparare con assoluta precisione il difetto responsabile di una grave immunodeficienza ereditaria, aprendo così le porte all’applicazione sull’uomo, di questo innovativo metodo.
 A firmare lo studio, pubblicato su Nature*, sono Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele per la terapia genica e docente dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e Angelo Lombardo, ricercatore presso le stesse Istituzioni. A conferma del valore internazionale della ricerca del Tiget è anche il prestigioso Outstanding  Achievement Award, conferito a Luigi Naldini proprio in questi giorni a Washington dalla Società americana di terapia genica e cellulare.
Dopo anni di studi oggi la terapia genica è una realtà che sta cominciando a dare risultati concreti anche sull’uomo. Sono ormai diversi gli studi clinici in corso nel mondo in cui tramite virus opportunamente modificati e resi innocui si possono fornire ai pazienti versioni corrette dei geni che sono difettosi e responsabili di una determinata patologia. Lo scorso luglio su Science un gruppo di ricerca guidato proprio da Luigi Naldini ha dimostrato come questa tecnica rappresenti una speranza concreta per gravissime malattie genetiche dell’infanzia come la leucodistrofia metacromatica e la sindrome di Wiskott-Aldrich.
«Fino ad oggi la terapia genica consisteva soprattutto nell’aggiungere una copia funzionante di un gene quando quello presente era difettoso, usando un virus opportunamente manipolato e reso innocuo; un po’ come usare una stampella quando ci si sia rotti una gamba, - spiega Luigi Naldini, direttore del dell’Istituto San Raffaele per la terapia genica. Con il nuovo studio pubblicato oggi su Nature abbiamo fatto un importante passo avanti. L’editing del genoma ci consente di correggere direttamente il difetto genetico sul Dna, un po’ come riparare l’osso fratturato. E’ un vantaggio straordinario, perché ci permette di ripristinare non solo la funzione ma anche la naturale regolazione di quel gene – quanto, quando e dove viene espresso – cosa che oggi non possiamo fare fedelmente quando introduciamo con un virus una nuova copia del gene dall’esterno. E abbiamo dimostrato come farlo nelle cellule staminali emopoietiche, le madri di tutte le cellule del sangue ».
Cuore della nuova tecnica molecolare messa a punto sono le endonucleasi artificiali, proteine costruite in laboratorio e usate per indurre la modificazione di una specifica sequenza di Dna e che sono oggi al centro dell’attenzione dei ricercatori di tutto il mondo per le loro potenziali applicazioni nella ricerca. «Le nucleasi artificiali sono costituite da due porzioni distinte, una in grado di legarsi a una precisa sequenza di lettere (basi) sul Dna, che noi scegliamo nel gene da riparare, l’altra di tagliare il Dna e di mettere così in moto i normali meccanismi riparativi della cellula che ricopiano nel sito del taglio una sequenza corretta da noi fornita alla stessa cellula». Spiega Angelo Lombardo, ricercatore dell’Istituto San Raffaele per la terapia genica premiato alla fine del 2011 come miglior giovane ricercatore dalla Società europea di terapia genica e cellulare, e che già nel 2007 aveva dimostrato insieme a Naldini la potenzialità terapeutica di queste proteine. «In questi anni – prosegue Lombardo – abbiamo studiato come introdurre e far funzionare questa vera e propria “equipe microchirugica” nelle cellule staminali del sangue umano, in modo da correggere difetti responsabili di malattie genetiche».
 In particolare Luigi Naldini e il gruppo di ricerca da lui guidato hanno provato ad applicare questa tecnologia alla malattia SCID-X1, una immunodeficienza ereditaria in cui la terapia genica “tradizionale” pur funzionando, ha dato in passato, nel corso di una sperimentazione condotta in Francia, dei problemi di sicurezza. Alcuni dei pazienti trattati, infatti, svilupparono leucemie a seguito di un’espressione incontrollata del gene terapeutico e dell’inserzione casuale del vettore che era avvenuta vicino ad un gene oncogeno e ne aveva attivato il potenziale tumorigenico. La SCID – X1 è dovuta al difetto in un gene,IL2RG, essenziale per lo sviluppo delle cellule del sistema immunitario: i linfociti T e le cellule “Natural Killers” (NK). In assenza della proteinaIL2RG, le cellule staminali del midollo osseo non sono in grado di dare origine a questi cruciali elementi difensivi del sangue: i pazienti affetti sono soggetti a gravissime infezioni fin dalla prima infanzia e costantemente in pericolo di vita.
 Finora i ricercatori non erano riusciti ad applicare la tecnologia dell’editing del genoma alle cellule staminali ematopoietiche umane, piuttosto “restie” ad accogliere e utilizzare il macchinario di riparazione ed editing del Dna fornito dall’esterno. Come spiega il primo autore del lavoro, Pietro Genovese, ricercatore dell’Istituto San Raffaele per la terapia genica: «Normalmente queste cellule si trovano nel midollo osseo in uno stato di quiescenza, da cui si risvegliano periodicamente per replicarsi e rigenerare le cellule mature del sangue che naturalmente si consumano e muoiono. Siamo però riusciti a individuare la giusta combinazione di stimoli per risvegliarle e poter utilizzare i nostri “bisturi molecolari” per riparare il difetto genetico a carico del gene IL2RG. Abbiamo poi dimostrato la sicurezza e l’efficacia di questo approccio terapeutico in un modello murino in cui avevamo “ricreato” un sistema ematopoietico umano difettoso: le cellule da noi corrette con la tecnica dell’editing del genoma sono riuscite da sole a rigenerare il sistema immunitario, dando origine a linfociti T e cellule NK completamente funzionanti. Questo dimostra che bastano poche cellule staminali corrette per ottenere l’effetto terapeutico, ovvero la ricostituzione di un sistema immunitario funzionante ».
 Con questa strategia sarà possibile in futuro non solo superare alcuni dei più importanti ostacoli che oggi rallentano l'applicazione della terapia genica, ma anche ingegnerizzare le cellule staminali in modo sempre più preciso e innovativo, disegnando nuove strategie di cura delle malattie.


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mercoledì 11 giugno 2014

L’IMPORTANZA DI “UN’ALTRA EUROPA” NEL FUTURO DELL’UOMO


di Marco La Rosa



 «L’IMPORTANZA DI “UN’ALTRA EUROPA” NEL FUTURO DELL’UOMO»

“Cosa significa ESOBIOLOGIA ? Il termine deriva dal greco: έξω (= fuori), βίος (= vita), λόγια (discorso) quindi, letteralmente, «Discorso sulla Vita fuori…» ma fuori da cosa…?
E’ il ramo della Biologia che indaga sulle possibilità di vita extraterrestre. Il termine fu introdotto da J.Lederberg nella riunione del COSPAR (Committee on Space Research) tenutasi a Nizza nel 1957. Scopi principali sono la ricerca di forme viventi che eventualmente esistano fuori della Terra e lo studio della fisiologia dell’uomo o di altri organismi portati nello spazio interplanetario, o approdati sul satellite Luna, oppure su altri pianeti. Poiché per riconoscere la presenza delle condizioni necessarie alla vita è assai utile la conoscenza dei primi stadi dell'evoluzione biologica sulla Terra, le indagini su questo argomento vengono considerate come parte imprescindibile dell‘Esobiologia.”

Inizia così il testo della conferenza che il Biologo Giorgio Pattera ha portato al Convegno Mondiale di Esobiologia di San Marino del marzo 2014.




Il Dr. Giorgio Pattera studia e divulga l’Esobiologia da oltre 35 anni ed è sicuramente uno dei pionieri in questa disciplina scientifica, che ancora oggi, nonostante le continue scoperte di eso-pianeti potenzialmente adatti ad ospitare la vita, viene ancora relegata nell’ambito “filosofico” della Biologia.
Non a caso oggi voglio parlare di Giorgio: è stato il mio Maestro e mi ha onorato scrivendo la prefazione dell’Uomo Kosmico.  Non poteva essere altrimenti.
Nonostante l’Esobiologia rimanga un campo prevalentemente “speculativo” (?), ecco due notizie che invece dimostrano il contrario:

MEDIA INAF, ISTITUTO NAZIONALE DI ASTROFISICA:
IL LANCIO DI EUROPA CLIPPER NEL 2025
La NASA punta a Europa


“La Casa Bianca ha sbloccato il capitolo di spesa dedicato alle spese spaziali dell'Agenzia americana. In totale per il 2015 si parla di 17,5 miliardi dollari, di cui 15 milioni verranno utilizzati per la prima fase di progettazione della sonda che raggiungerà l'orbita gioviana fra poco più di 10 anni. Sotto lo spesso strato di ghiaccio in superficie, Europa potrebbe nascondere acqua allo stato liquido, "riscaldata" dall'interazione con Giove.
Europa, il quarto satellite naturale di Giove e uno dei più grandi dell’Intero Sistema solare (circa 4mila chilometri di superficie “abitabile”) è sempre più vicina per la NASA. La luna di ghiaccio, infatti, è il prossimo ambizioso obiettivo spaziale degli Stati Uniti, nonché uno dei satelliti più amati dai ricercatori. L’agenzia spaziale americana comincerà a progettare una missione per cercare vita aliena sulla luna di Giove nel 2015 (il lancio dovrebbe avvenire nel 2025). Della missione si parla già dal 2013, ma solo in questi giorni è stato definito il capitolo di spesa. Proprio ieri, infatti, è stato pubblicato il budget della Casa Bianca per l’anno venturo e per le missioni spaziali sono stati stanziati 17,5 miliardi di dollari, l’1% in meno rispetto a quanto richiesto dalla NASA per l’anno in corso, ma 600 milioni di dollari in più rispetto al 2013. Nel budget del 2015 figura finalmente la voce della missione verso Europa, che costerà in totale 2 miliardi di dollari.

L’obiettivo non è da poco: gli astronomi scommettono di trovare forme di vita microbiotica sotto lo spesso strato di ghiaccio superficiale, dove si troverebbe un oceano di acqua allo stato liquido, riscaldata dall’interazione con il pianeta Giove. “La missione su Europa è una vera e propria sfida perché opereremo in un ambiente dalle alte radiazioni e i preparativi sono molti”, ha detto Beth Robinson, a capo dell’ufficio finanziario della NASA. “So che molti premevano per destinare tutto il budget della NASA alla missione su Europa”, ha aggiunto, dicendo che si rivolgeranno all’intera comunità scientifica per delineare la missione in futuro. Per la prima volta il satellite di Giove Europa viene inserito nel budget federale tra le missioni e le spese della NASA, che riceverà nel corso dei prossimi due anni altri 155 milioni di dollari. E’ stato anche pensato a 886 milioni di dollari allocati per le cosiddette “Opportunity, Growth and Security Initiative”. La fase iniziale di progettazione costerà 15 milioni di dollari.
La missione si chiamerà Europa Clipper (dove clipper, in questo caso, sta per taglia ghiaccio), in fase di ideazione ormai da anni. La sonda orbiterà attorno a Giove, ma effettuerà 45 flyby attorno alla luna (a un’altezza che varierà tra 2700 km e 25 km), usando diverse strumentazioni per studiare il guscio di ghiaccio e l’oceano subsuperficiale. Europa Clipper potrebbe viaggiare attraverso i pennacchi di vapore acqueo in eruzione dal polo sud della luna – caratteristiche interessanti che sono state scoperte alla fine dello scorso anno e hanno contribuito a dare nuovo slancio alla missione. Si tratta di getti supersonici di 700m/s, quindi 2500 chilometri all’ora, in grado di arrivare a 200 km di altezza. Questi geyser sarebbero generati dal potente stress mareale esercitato sulla luna dall’enorme e vicino pianeta Giove. Proprio questi pennacchi potranno offrire un modo di studiare più da vicino le componenti chimiche dell’acqua: il lander dovrà raccogliere campioni di acqua non ghiacciata ad almeno due profondità diverse (sotto i 2 centimetri e tra i 5 e i 10 centimetri) per studiare anche la salinità e la presenza di materiali organici. L’eventuale carico di strumenti scientifici in esame comprenderà un radar per penetrare la crosta congelata e determinare lo spessore del guscio di ghiaccio, uno spettrometro a infrarosso per indagare la composizione dei materiali, una fotocamera topografica per scattare immagini ad alta risoluzione e un spettrometro di massa per ioni e atomi neutri per analizzare l’atmosfera della luna durante i flyby.
Entro il 2030 l’orbita di Giove si riempirà di sonde, perché al Clipper si aggiungerà JUICE dell’Agenzia Spaziale Europea (lancio previsto nel 2022), dedicata a tutto il sistema gioviano e a forte partecipazione italiana, ASI e INAF.”

…e poi …

MEDIA INAF, ISTITUTO NAZIONALE DI ASTROFISICA
CELLULE PRIMORDIALI IN SORGENTI IDROTERMALI


“La vita dal mare e non dal brodo primordiale…
Una recente ricerca della Nasa ribalta le teorie finora elaborate: i primi organismi sulla Terra si sarebbero formati grazie all'interazione di alcune sostanze chimiche con l'acqua alcalina proveniente da camini idrotermali sul fondo degli antichi oceani. Brucato (dell'INAF - Osservatorio Astronomico di Arcetri) ha detto: “confermato il ruolo che i minerali possono aver avuto nelle prime fasi della comparsa della vita.”
Un camino idrotermale: questi ambienti hanno forse ospitato le prime forme di vita.
Le prime cellule viventi si sarebbero formate nelle fredde profondità oceaniche, sui fondali marini. Niente brodo primordiale però, come teorizzato in passato, nessun effetto delle radiazioni, ma solo della semplice e tiepida acqua alcalina. È questo quanto sostiene un gruppo di ricercatori del Jet Propulsion Laboratory e dell’Astrobiology Institute della NASA, che ha ridisegnato, in certo senso, la teoria sull’origine della vita sulla Terra. Più di 4 miliardi di anni fa i primi microrganismi unicellulari si sono trovati davanti un ambiente decisamente più umido e impervio rispetto a quello che conosciamo noi oggi, continuamente bombardato da radiazioni ultraviolette. All’improvviso tutto è cambiato ed è cominciata l’evoluzione: da batteri a muffe, da piccoli organismi ai dinosauri, fino ad arrivare all’essere umano, a noi.
Michael Russell e Laurie Barge, autori dello studio, hanno descritto come l’energia elettrica prodotta naturalmente dalle differenti temperature che si creano sul fondo degli oceani, grazie alle sorgenti idrotermali, potrebbe aver contribuito all’origine dei primi organismi sulla Terra appena nata. Russel lavora da anni a questa teoria e, secondo lui, le prime cellule si sarebbero formate sulle pareti di camini idrotermali sottomarini, da cui escono sorgenti di acqua alcalina ricca di sali minerali.
Un’idea simile fu proposta per la prima volta nel 1980 da altri ricercatori, i quali studiarono alcuni condotti sul fondo dell’oceano a largo di Cabo San Lucas, in Messico. In inglese vennero chiamati “black smokers” (letteralmente fumarole nere), cioè sorgenti di getti d’acqua bollente e acida dense di solfuro di ferro e solfuro di nichel.  Al contrario, 35 anni dopo, questo studio della NASA conferma ciò che Russell scrisse nel 1989: getti di acqua meno violenti, più freddi e alcalini hanno dato il via alla vita che oggi conosciamo. Mentre allora erano stati descritti come un ambiente acido, i ricercatori della Nasa vedono adesso un ambiente mite e ricco di sali, sul modello di un complesso imponente di camini idrotermali alcalini trovato per puro caso nel 2000 nell’Oceano Atlantico del nord e soprannominato “la città perduta”.
John Robert Brucato, astrobiologo dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Arcetri, ha detto a MEDIA Inaf che “i sistemi fisici che, grazie alla presenza di gradienti di energia libera, si trovano lontani dall’equilibrio subiscono trasformazioni verso strutture dinamiche macroscopiche ben organizzate. Queste strutture permettono di accelerare il tasso con cui l’energia è dissipata. Esempi di questo tipo sono comuni in natura ma in particolare ci sono quelli che attraverso flussi dissipativi permettono alla Terra di avere una geologia dinamica”.
Russell, nella sua ricerca pubblicata ad aprile sulla rivista Astrobiology, ha detto che “la vita è nata in un momento di leggero squilibrio sul nostro pianeta riportando, successivamente, l’equilibro”. Il team di ricercatori ha rilevato, infatti, che i camini idrotermali mantenevano inalterati una serie di squilibri chimici tra l’ambiente alcalino dei camini idrotermali e il resto degli oceani che erano carichi di acqua acida. Per la precisione questi squilibri erano due e avrebbero determinato, con i getti di aria calda, le condizioni chimiche per innescare le reazioni indispensabili alla comparsa della vita. Il primo è il gradiente protonico, per cui i protoni, che sono ioni di idrogeno, erano concentrati all’esterno delle fumarole, che sono state chiamate anche membrane minerali. Il gradiente protonico potrebbe essere stato sfruttato per produrre energia: il processo è simile a quello che si verifica in ogni organismo a livello delle strutture cellulari chiamate mitocondri. Il secondo squilibrio riscontrato dai ricercatori riguarda il gradiente elettrico tra i fluidi idrotermali e l’acqua dell’oceano circostante. Miliardi di anni fa le acqua oceaniche, che ricoprivano tutta la Terra, erano ricche di composti inorganici provenienti sempre da questi camini, come anidride carbonica, idrogeno, cianuro e vari solfati. Quando l’anidride carbonica dal mare e i combustibili provenienti dalle fumarole – cioè idrogeno e metano – si incontravano nelle pareti dei condotti, gli elettroni potrebbero essere stati trasferiti. Attraverso successive reazioni chimiche complesse potrebbero essere state create molecole più grandi e infine i composti organici.
Brucato ha aggiunto: “Mike Russell, 25 anni fa, è stato il fondatore della teoria che identifica i camini idrotermali alcalini, presenti nelle profondità oceaniche, come i luoghi nei quali la vita può aver avuto origine. In questi ambienti, sono presenti sistemi che si comportano come delle membrane ma di origine minerale. Ancora una volta, in questo lavoro viene posto l’accento sul ruolo che i minerali possono aver avuto nelle prime fasi della comparsa della vita, ovvero si sono comportati negli oceani, come un motore chimico che ha permesso di avere energia a disposizione per sintetizzare tutte le molecole biologiche necessarie a poter dare origine alla vita”.


I ricercatori sono convinti che alla luce della loro ipotesi sarebbe possibile spiegare l’origine della vita anche in altri pianeti. La Barge ha detto che la ricerca di Russell è cominciata negli anni ’90 e “nel corso degli anni le missioni della NASA hanno portato le prove della presenza di fondali marini su Europa ed Encelado”, le lune di Giove e Saturno. “Negli anni abbiamo scoperto particolari sorprendenti sulla presenza, in passato, dell’acqua sul pianeta Marte e presto scopriremo particolari simili su pianeti rocciosi attorno a stelle lontane”. L’obiettivo dei ricercatori è testare la loro teoria sull’origine della vita nei laboratori della NASA, per poi portare gli stessi esperimenti nello spazio, all’interno del Sistema solare e oltre.”




Nemo propheta in patria”, così nessuno viene riconosciuto nella sua casa e tra chi lo conosce, né tantomeno i suoi studi e le sue idee.
Ecco perché in tempi non sospetti Giorgio ha scritto e divulgato ciò che oggi tutti i media riportano come idee e scoperte nuove. Già alla fine degli anni ’90 il Dr. Pattera parlava dell’importanza di “un’altra EUROPA” nel futuro dell’uomo : “Per raggiungere le stelle, occorre partire con i piedi ben saldi sulla Terra…”

QUELLO CHE STATE PER LEGGERE E’ UN RACCONTO INEDITO, SCRITTO DA GIORGIO PATTERA NEI PRIMI ANNI DI QUESTO NUOVO MILLENIO, UNA PSEUDO AUTO-BIOGRAFIA IRONICA (da sorridere, ma non troppo…), IN CUI L’AUTORE PRONOSTICA (o forse profetizza esattamente ?) QUELLO CHE STA ACCADENDO OGGI.
BUONA LETTURA.

MLR

                                               L’ULTIMA DECISIONE


Giorgio Pattera


20 gennaio 2007

Eppure tutto era stato previsto…Tutte le eventualità, anche le più remote, erano state accuratamente prospettate, vagliate, discusse, analizzate; qualcuna addirittura era stata “inventata”, anche per accontentare il Comandante della missione, estremamente puntiglioso e fanatico della prevenzione. Poi tutte le soluzioni ai problemi (possibili, probabili o presunti) erano state approntate: tanto che, per assurdo, sarebbe stato un peccato se nessuno di essi si fosse presentato durante il viaggio, in quanto non si sarebbe potuto dimostrare all’opinione pubblica che la NASA meritava appieno la fiducia (e i finanziamenti) che il Congresso le aveva riservato.
Ed ora lì, in quel maledetto “punto neutro” fra l’orbita di Europa e l’enorme attrazione gravitazionale di Giove, una banalissima, stupidissima, maledettamente insignificante meteora, delle dimensioni di un mandarino (che sulla Terra avrebbe procurato solo un lavoro extra ai carrozzieri per auto), aveva messo in stallo il proseguimento della missione «EuroLife», tesa alla ricerca di forme di vita negli oceani di uno dei maggiori satelliti galileiani.
Già la denominazione della mission, al Comandante, era andata per traverso; forse per la cacofonica assonanza con un arcaico sistema di vendita-intrugli all’americana, specializzato nell’alleggerire…solo il portafogli di chi, come lui, non sapeva resistere alla buona cucina. O forse perché le sue reminiscenze di studi classici avrebbero preferito un’etichetta più filosofica: «ELPIDIA», ad esempio, che in greco antico vuol dire “speranza”… Speranza che ora era divenuta certezza, alla faccia dei suoi detrattori o, quanto meno, di tutti gli scettici che avevano snobbato, per non dire osteggiato (in assenza di certezze sul rientro… economico), quella missione. Missione che gli stava preparando, contro ogni previsione, un ritorno da trionfatore: la vita su Europa c’era, anche se relegata nei fondali oceanici, conservata da una spessa coltre di ghiaccio alla costante temperatura di +4°C e sotto forma di esseri unicellulari, quegli stessi che diedero origine all’evoluzione delle specie sulla Terra.
Proprio nel momento in cui il Comandante poteva chiudere la sua modesta ma indòmita carriera, coronando con dati scientifici inoppugnabili quello che NON ERA STATO IL SOGNO DI TUTTA UN’ESISTENZA, ma una certezza istintiva ed inspiegabile (= la Vita è un evento naturale, normale, addirittura inevitabile, che presto o tardi inizia su ogni pianeta atto ad ospitarla), un minuscolo corpo celeste, ubbidiente alle medesime leggi di fisica astronomica che gli avevano permesso di compiere indenne un viaggio di quasi 1 miliardo di km., vanificava tutta la fase di rientro a Terra. O, perlomeno, avrebbe potuto…
«Porcaccia troia, ma non è possibile !», scattò esasperato, non prima di aver disconnesso la comunicazione con il centro di controllo, onde evitare la solita lagna: «Qui Houston, avete un problema ?». «Me lo sentivo, io, che “EuroLife” portava sfiga !».
Il Comandante della missione non era stato scelto a caso. Intendiamoci, nessun Comandante era mai stato scelto a caso, per carità: vengono valutati infiniti parametri, quali la famiglia di provenienza, il peso socio-politico (ed economico) del gruppo d’appartenenza, le amicizie e le conoscenze influenti tra le alte sfere del Congresso e così via; tutti requisiti, com’è evidente, assolutamente indispensabili alla buona riuscita di una missione spaziale...
Stavolta, però, la situazione si presentava diversa: questo Comandante, al termine di una troppo onesta e per nulla chiacchierata carriera, ne aveva visti (oh, sì !) di colleghi che lo avevano preceduto con sfavillante carriera. Sfavillante come una “lacrima di S.Lorenzo”: una stella cadente, insomma, nel senso letterale del termine; in quanto avevano fatto un gran clamore nel contesto delle “fanfare americane”, ma erano spariti dal firmamento USAF (e dal libro paga della NASA) altrettanto rapidamente. Questa, l’ultima delle missioni tradizionali con equipaggio umano a bordo, era troppo rischiosa e nessuno era stato in grado di garantire agli aspiranti cosmonauti il rientro a Terra, in tempo utile per partecipare alle Presidenziali americane, né per assistere allo spareggio del campionato di baseball; per non parlare dei cicli di “fitness” saltati e non rimborsabili…
E lui se n’era rimasto silenzioso, in disparte, come sempre. Tanto sapeva che, al termine della riunione decisiva, si sarebbe levata la solita voce altisonante che, dopo una sonora quanto costruita schiarita di voce (negli USA l’importazione di Golia era stata cautelativamente sospesa, per misure sanitarie…), avrebbe proferito la frase di circostanza (mentre il cerimoniere cercava disperatamente di porre, come sottofondo, l’Inno Nazionale al posto di “Madonna”…). «Signori, la missione è delicata (e gli sponsor inferiori all’attesa); la madre è certa, non altrettanto il padre; ahem, scusate, no, questo non c’entra niente. Dicevo: propongo di affidarla ad un Comandante d’indiscusso valore, il Colonnello Rep..., Tar…, (come cacchio si chiama, questo…?); ahem, dunque, sì; ah, ecco, il Col.Rapetta, Joe Rapetta (che Dio lo assista…). Ed ora, Signori, dopo questa decisione di vitale importanza per il prestigio e la sicurezza nazionale (destra sul cuore, pausa obbligata di finta commozione, per osservare l’orologio), propongo a tutti di continuare la discussione presso il Mc.Donald all’angolo: fanno certi hamburger che se li sognano, in… Europa !» (risata generale, non tanto per il gradimento della battuta, ma per la soddisfazione di aver rifilato la gatta da pelare al solito “bamba” d’origine italiana).
Così lui aveva accettato; anzi non aspettava altro momento, da tempo immemorabile, se non quello di applicare la metafora evangelica “scuoti la polvere dai calzari e poi togli il disturbo”. Ora, di polvere (alias prove di vita), ne aveva milioni di megabyte, immagazzinati nella memoria del computer di bordo, da trasferire negli hard-disk della NASA, anche se sapeva benissimo che sarebbero finiti negli archivi “eyes only”, in attesa d’ulteriori conferme (leggi: ritorno commerciale); e non resi patrimonio culturale universale, come esigerebbe la Statua della Libertà (a proposito, qualcuno ha notato che quando la CIA imbosca le informazioni, le si spegne la fiaccola ?).
La rabbia impulsiva, che sempre l’aveva accompagnato, gli aveva fatto ricordare in un attimo tutta la sua vita; ma ora, lenta ed inesorabile com’era stata ogni sua decisione, lasciava il passo alla razionalità più responsabile, che mai progettista aerospaziale ebbe a disposizione; con la trascurabile differenza che doveva decidere nell’arco di una manciata di secondi, quei secondi che il teorema di Lagrange gli concedeva.
Cos’era successo ? L’unica cosa, forse, che non poteva essere prevista e cioè: l’imprevedibile; ma il gioco (e non solo di parole) valeva la candela ? Quel maledetto pezzo di nichel, probabilmente lanciato da Satana, al colmo dell’ira per esser stato sconfitto ancora una volta (la Vita è la sua…morte !), se avesse colpito qualsiasi parte dello scafo, lo avrebbe solo fatto risuonare, come una castagna autunnale che cade sul tetto dell’auto.
E invece proprio lì doveva colpire, nel dispositivo d’aggancio del modulo-laboratorio sottomarino alla nave-madre, mentre lo stava recuperando dalle profondità oceaniche di Europa, nelle quali aveva lavorato con ottimi risultati per quasi sei mesi. E lo aveva fatto saltare. Conseguenza: la sonda contenente il laboratorio-sommergibile era ricaduta sui ghiacci di Europa, frantumandosi. «Tutto qui, il disastro ?» potrebbero commentare i soliti, tranquilli benpensanti: «Ah, quel ragazzo, non è cambiato; se l’è sempre presa per poco o nulla, illudendosi di risolvere tutti i problemi DEGLI ALTRI !». Anche la voce di sua madre, inopportuna come sempre, riuscì a farsi udire dalla vicina dimensione: «Fa’ finta di niente: ne hanno, loro, di soldi…!», subito bilanciata dalla saggezza paterna: «Lo sai da solo, cosa devi fare…». Persino Roberto Vecchioni, un paleo-cantautore di cui erano riaffiorate tracce musicali proprio di recente, aggiunse la sua: «Se hai le mani sporche, tienile chiuse: nessuno se ne accorgerà !».
Già, nessuno avrebbe avuto il coraggio di recriminare la perdita di (pochi, si fa per dire) miliardi di dollari per il mancato rientro del laboratorio spaziale, a fronte di un’impresa, data da tutti come perdente in partenza, dalle implicazioni biologiche e cosmologiche così clamorose… Già, nessuno… ma lui, il Colonnello pensionando, con le leggi biologiche nel cervello e l’amore per la Vita nel sangue, lui sì: lui sapeva…
«E’ sempre stato così, voleva sempre sapere tutto…». E, come si dice, “chi sa è pericoloso”… Sapeva che il modulo, disintegrandosi sui ghiacci, aveva liberato la capsula contenente plutonio arricchito, che era servito per fornire energia alle apparecchiature di laboratorio. Sapeva che il materiale radioattivo, prima o poi (la Natura non ha fretta), avrebbe perforato la distesa di ghiaccio e inquinato le acque sottostanti: avrebbe avuto tempo fino a 24.000 anni… e intanto la Vita subacquea ne avrebbe senza dubbio risentito, annientandosi o creando esseri mostruosi… Sì, sapeva cosa doveva fare e sapeva anche che doveva farlo subito, prima di oltrepassare quel maledetto punto lagrangiano: doveva scendere sulla superficie ghiacciata del satellite, recuperare la capsula di plutonio e rinchiuderla nel compartimento stagno della navicella.
E poi ? Il resto sarebbe stato come il mare d’inverno, “un film in bianco e nero visto alla TV” : la manovra di discesa avrebbe consumato grande quantità di propellente. Non ne sarebbe rimasto a sufficienza per ritornare nell’orbita di Europa e tantomeno per vincere l’attrazione gravitazionale di Giove e tornare sulla Terra. Sarebbe rimasto lì; e poco importava se nel frattempo si fosse contaminato col plutonio: prima di concordare quale sigla avrebbe dovuto precedere le altre sulla cosmonave da inviargli in soccorso, gli abitanti del suo stesso pianeta avrebbero certamente dimezzato il rischio da raggi “gamma”, una volta sbarcati su Europa…

Joe Rapetta ebbe un’ultima esitazione: avrebbe potuto godersi tranquillamente la sua modesta pensione (per gli immigrati d’origine italiana era prevista una ritenuta, da versare alla madrepatria…), con un po’ di gloria che, ad una certa età, non suona poi tanto male. Avrebbe continuato a tenere, a sue spese, centinaia di conferenze, in cui spiegare come la diversa gravità di Europa e la diversa distanza dal Sole rispetto alla Terra avrebbero potuto influire sullo sviluppo della morfologia della Vita su quel corpo celeste; cosa che naturalmente nessuno avrebbe tenuto in considerazione, essendo l’ex-Colonnello stato “dismesso” dalla NASA («Poveretto, per trent’anni nel Cosmo, con tutte quelle radiazioni…il cervello ne risente…»).
Di certo non lo avrebbe fatto per i figli; non ne aveva e non ne avrebbe avuto mai («Sai, cara, come si fa con uno come lui ? Non è mai a casa e, quando è libero, fotografa i fiori e i tramonti… Pensa che una sera l’ho visto persino parlare col suo cane…; mah !»). Questo gli avrebbe evitato l’eventuale rimorso per aver taciuto loro il dramma, silente ma progressivo, che si andava consumando a 1 miliardo di km., là in fondo, nel nostro sistema solare… All’improvviso gli si formò sulla retina, lievemente appannata da qualcosa di non ben definibile, ma che assomigliava tanto ad una lacrima, l’immagine di Amy, l’unica compagna fedele della sua vita; quella cagnetta che, unica, aveva saputo condividere le (rare) soddisfazioni e le (frequenti) incazzature del Colonnello.
Ma anche questo non bastò a fermarlo…

E con un sorriso eloquente - finalmente decido io ! - girò la chiave del comparto sicurezza della navetta, sollevò il pannello di protezione e tese l’indice verso un grande pulsante, illuminato in verde smeraldo (che strano: nei modelli precedenti era sempre rosso; forse era stato assemblato in Italia, in un giorno di sciopero, e avevano finito l’altro colore…), quello con la scritta:

«WARNING: ENGINE STOP !»

E gli sembrò che suo padre, sorridendo, lo aiutasse a premerlo…



Bibliografia:

Giorgio Pattera – Esobiologia Perché – S. Marino 2014 – Ufo International Magazine - n. 14, maggio 2014

…e finalmente (gli Italiani non sono secondi a nessuno) facciamo sentire la nostra voce:

giorgio.pattera@alice.it



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