IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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VIDEO SINOSSI DELL'UOMO KOSMICO

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Con questo libro Marco La Rosa ha vinto il
PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO
ALTIPIANI DI ARCINAZZO 2014
* MISTERI DELLA STORIA *

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LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

venerdì 26 agosto 2016

IL PRINCIPIO DELL'IMMORTALITA' : VIDEO








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"L'UOMO KOSMICO", TEORIA DI UN'EVOLUZIONE NON RICONOSCIUTA"
" IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: LA VERA GENESI DELL'HOMO SAPIENS"
DI MARCO LA ROSA
SONO EDIZIONI OmPhi Labs








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martedì 23 agosto 2016

MATEST AGREST: UNO SCIENZIATO ALLE ORIGINI DELLA PALEOASTRONAUTICA


Da:

Il 20 settembre 2005 moriva, ormai novantenne, il matematico ed etnologo russo Matest Agrest Mendelevitch, conosciuto per il suo contributo alla teoria delle funzioni cilindriche incomplete e ancor di più per l’ipotesi di paleocontatto espressa in tempi davvero non sospetti. Infatti, al pari dell’archeologo francese Henri Lhote (che individuò i dipinti e le incisioni del Tassili in Algeria), Agrest deve essere ricordato per essere stato tra i primi scienziati a divulgare la tanto discussa teoria degli antichi astronauti. Insomma, almeno un decennio prima che identiche ipotesi fossero poi riprese, sviluppate e strumentalizzate anche da scrittori senza scrupoli. Qualcuno di voi ricorderà che il nome di questo sconosciuto Agrest compariva nei lavori di Peter Kolosimo ma non tutti conoscono la vita di quest’accademico. Vale la pena porre rimedio, anche se in forte ritardo.

Lo scienziato rabbino:

Nato da famiglia ebraica il 20 luglio 1915 a Mogilev, nel villaggio di Knyazhitsy, in Bielorussia, nel 1929 divenne rabbino e, mentre lavorava in fabbrica, riuscì a frequentare la scuola secondaria, diplomandosi cinque anni dopo. S’iscrisse poi alla facoltà di matematica e meccanica dell’Università di Leningrado. Laureatosi, entrò nella Graduate School of Astronomical Institute di Mosca, dipartimento di meccanica celeste. Qui incontrò e fece amicizia con l’astrofisico Joseph V. Sklovskij, membro dell’Accademia delle Scienze. In questo frangente Agrest studiò le caratteristiche meccaniche del movimento degli anelli di Saturno. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale si ritrovò mobilitato e di stanza a Gorky al comando di un plotone di sbarramento. Durante un temporale un fulmine colpì la mongolfiera ove si trovava e, a causa dell’incendio, Agrest rimase ferito: questo gli permise di completare gli studi universitari. Lavorò quindi presso l’Istituto di Chimica e Fisica, aggregato al progetto atomico del gruppo Zel’dovich, ove fu incaricato di eseguire i calcoli dei processi esplosivi. Dal 1948 cominciò a lavorare al KB-11, nel villaggio che in seguito divenne noto come Arzamas-16 ma nel 1951, convocato dai superiori, fu licenziato. Agrest non volle mai parlare dei motivi dell’allontanamento, avvenuto probabilmente per l’educazione religiosa ricevuta. All’epoca, avendo una famiglia numerosa e versando in precarie condizioni economiche, gli vennero in soccorso alcuni colleghi che avevano lavorato con lui al progetto dell’atomica, tra cui Andrei Sacharov, che gli permise di occupare il suo appartamento a Mosca per circa sei mesi. Mentre la famiglia si trasferiva in Abkhazia, Agrest lavorò (fino al 1960) presso l’istituto fisico/tecnologico di Sukhumi (SFTI), in un sobborgo di Sinup, all’interno di un laboratorio ove un’equipe di scienziati russi e tedeschi, praticamente segregati, portavano avanti sperimentazioni connesse all’utilizzo militare dell’energia atomica. Balzò alle cronache nel 1959 quando sostenne che i terrazzamenti di pietra del sito archeologico di Baalbek potevano essere stati utilizzati per il lancio di navicelle spaziali, aggiungendo che la distruzione delle bibliche città di Sodoma e Gomorra era da attribuirsi a un’esplosione atomica provocata intenzionalmente da esseri provenienti da un altro pianeta. Le sue teorie non ortodosse, che chiaramente all’epoca scandalizzarono l’ambiente accademico occidentale, furono pubblicate per la prima volta nel 1960 sulle pagine della rivista Literaturnaja Gazeta (nr. 17, pag. 2, 9 febbraio 1960); quanto asserito da Agrest trovò ampio risalto all’estero, anche grazie agli articoli pubblicati il giorno dopo sul The New York Times e sul Los Angeles Times. Matest Agrest ci andò subito con il piede pesante, sostenendo che alcuni episodi descritti nella Bibbia, secondo lui, si riferivano a interventi di esseri extraterrestri; nelle sue asserzioni anche Gesù Cristo divenne un alieno e la stella di Betlemme non era altro che l’astronave del Salvatore. Non dobbiamo dimenticare che le dichiarazioni di Matest Agrest, come quelle similari del popolare scrittore di fantascienza Alexander Kazantsev, nascevano in un contesto anche strumentale in favore dell’ateismo.  

L’incontro con Stix e un’enigmatica fotografia:

Nel luglio del 1960 riuscì finalmente a confrontarsi con alcuni scienziati statunitensi facenti parte di una delegazione estera giunta in Unione Sovietica per un seminario dedicato al plasma e alla fusione. Tra questi Thomas Howard Stix, professore emerito di Scienze astrofisiche all’Università di Princeton, un originale pensatore, ricordato tra i più importanti sviluppatori nel settore della fisica del plasma. Fu Stix a chiedere un incontro con Agrest poiché sapeva delle sue convinzioni sul paleocontatto scaturite dallo studio sui testi originali della Bibbia. Stix, che asseriva di conoscere anche l’ebraico, riferì che avrebbe dovuto relazionare, di lì a poco, ad una conferenza presso l’Università di Bar-Ilan. I due si trattennero a discutere per una notte intera. La conversazione avvenne in inglese poiché, a quanto sembra, l’ebraico di Stix era assai stentato. Il giorno seguente ci fu un trasferimento in pullman per una visita al lago Riza nel Caucaso e i due stavano ancora discutendo tra loro, stavolta sotto lo sguardo sospettoso dei colleghi e superiori di Agrest, che cercarono di carpirne i discorsi. Prima di congedarsi, Stix regalò a Agrest una fotografia in cui era ritratto nell’appartamento di Einstein. Agrest non seppe mai il motivo di quel dono e nemmeno chi fossero le altre due persone immortalate nella foto. L’incontro con lo studioso statunitense, dopo ben dodici anni di completo isolamento, rimase indelebile in Agrest; due giorni dopo Agrest dovette delle spiegazioni sul fatto di aver fornito il proprio indirizzo a Spix e per questo fu accusato di violazioni di segreti. Per fortuna i suoi accusatori, Hoof e Ogurtsov, furono licenziati poiché implicati in un giro di tangenti e lo scienziato non subì ulteriori conseguenze.

Brillanti idee o voli di fantasia? :

Si era in piena Guerra Fredda e la maggior preoccupazione per l’URSS era quella di difendersi da attacchi con missili nucleari. Agrest lesse un articolo in cui si proponeva di utilizzare una barriera formata da miliardi di sottili aghi in orbita attorno alla Terra che, similmente agli anelli di Saturno, avrebbero fatto esplodere i missili nello spazio. Agrest si ricordò quindi dei suoi studi su Saturno, compiuti anni prima per la tesi di dottorato, e ipotizzò che su Saturno potesse esserci vita intelligente e che gli anelli avessero una funzione difensiva: in questo caso, non si poteva escludere che in un lontano passato gli abitanti di questo pianeta avessero visitato la Terra. Inevitabilmente, se c’era vita su Saturno non si poteva escludere nemmeno, in linea di principio, che forme intelligenti abitassero nella galassia di miliardi di stelle che, come il Sole, potevano ospitare sistemi planetari. Per dimostrare questa teoria occorreva chiaramente trovare le tracce del soggiorno terrestre di questi alieni. Secondo Agrest la traduzione esatta dei giganti della Genesi che abitavano la Terra era caduti. Ora il problema di Agrest era sapere quando queste creature erano cadute e partendo dal presupposto che questo fatto, secondo il testo sacro, era inserito dopo l’enumerazione dei diretti discendenti di Adamo, l’attenzione dello scienziato andò a Enoch, figlio di Jared. Nel Vecchio Testamento si dice che ciascuno dei patriarchi (tranne Enoch) visse una lunga vita e morì in tarda età. Enoch invece aveva camminato con Dio perché lo aveva preso con sé. Alcuni degli eventi descritti nel Vecchio Testamento potevano in qualche modo essere testimonianze scritte di visitatori extraterrestri. L’attenzione di Agrest andò alla descrizione della distruzione delle città di Sodoma e Gomorra e, come membro del progetto nucleare, conosceva bene le conseguenze di un’esplosione atomica. Effettivamente nel Vecchio Testamento è scritto che le persone furono accecate dalla luce e solo uno spesso strato di terra avrebbe potuto proteggere dalle radiazioni ionizzanti. Da lì Agrest iniziò a ricercare altre località della Terra che potessero aver ospitato gli alieni e non tardò ad arrivare a Baalbek, ove esistono enormi lastre di pietra che non si sa bene come fossero mosse dai nostri antenati. Agrest suggerì che la piattaforma di Baalbek fosse stata costruita da astronauti caduti sul nostro pianeta, così rimasta a futura memoria della loro permanenza. Lo scienziato scoprì alcune prove indiziarie in cristalli fusi rinvenuti in quella zona, forse originati da esplosioni nucleari, teorizzando che le astronavi fossero mosse da energia atomica. Agrest scrisse quel che pensava in alcuni manoscritti e li trasmise, per la prevista autorizzazione alla stampa, al Comitato Regionale del Partito Comunista della Georgia, ben conscio che difficilmente sarebbero stati presi in considerazione. Invece, il responsabile Hvartskiya giudicò interessante il lavoro e fornì il permesso allo scienziato di relazionare a un seminario scientifico presso l’istituto SFTI di Sukhumi. Agrest parlò per oltre un’ora e in sala vi era un assoluto silenzio. Per paura di cadere nel ridicolo, parlò sorridendo spesso poiché, in caso di reazioni negative, avrebbe potuto sostenere che si trattava solamente di uno scherzo. Quando terminò la sua relazione dal pubblico giunse uno scroscio di applausi. Agrest ricordò di aver reagito perdendo il controllo e iniziando anche a tremare. Il famoso fisico sovietico Frank Kamenetskii (calcolò esattamente le probabilità di annodamento del DNA) era propenso a far pubblicare un articolo con le teorie di Agrest sulla rivista Nature ma il comitato di redazione rifiutò il contributo, giudicandolo troppo pericoloso. Le idee di Agrest avevano stuzzicato anche l’accademico Igor Kurchatov (il fondatore dell’Istituto per l’Energia Atomica di Mosca) che gli suggerì di scrivere una versione abbreviata dell’articolo per la pubblicazione negli Atti dell’Accademia delle Scienze. Purtroppo nel febbraio 1960 Kurchatov morì senza essere riuscito a far pubblicare il lavoro. Nonostante tutto, alcune fotocopie del manoscritto erano state distribuite e da Mosca giunsero a Sukhumi i giornalisti Michael Cernenko e Valentin Rich e il 9 febbraio l’articolo “Tracce portate dallo spazio?” appariva sulle pagine della Gazzetta Letteraria. La notizia fu trasmessa anche per radio e il giorno dopo, come già scritto, ripresa con grande risalto dalla stampa occidentale. Un anno dopo fu pubblicato un secondo articolo (“Gli astronauti dell’antichità”) ma a questo punto la comunità scientifica sovietica intervenne pesantemente affermando che le idee del giovane Agrest erano nocive e distraevano l’ambiente dai reali problemi scientifici. Fu anche condannato l’uso di storie bibliche, arrivando a definire pseudo-scienza le idee di paleocontatto. In verità, a parte queste critiche, non fu mossa alcuna obiezione riguardo l’ipotesi avanzata dallo scienziato. In fondo Agrest aveva sviluppato la sua idea con sobrietà, da scienziato, proponendo la ricerca di prove per confutare la teoria. Inizialmente, tra i sostenitori del paleocontatto ci fu Joseph Samuilovich Sklovskij che nel suo libro “L’universo, la vita, la mente” citava l’idea del paleocontatto; in seguito l’avrebbe contrastata asserendo che l’uomo era solo nell’universo: non perché avesse trovato presupposti erronei alla teoria del paleocontatto bensì sulla scorta delle sue osservazioni astronomiche. La possibilità di un contatto con altre civiltà fece sorgere progetti SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence, Ricerca di Intelligenza Extraterrestre) dappertutto per captare segnali artificiali provenienti dallo spazio. Paradossalmente, mentre in Unione Sovietica l’idea del paleocontatto veniva giudicata non scientifica, in Occidente andava riscuotendo grande popolarità soprattutto per l’interessamento dell’astrofisico statunitense Carl Sagan (che nel 1966 con Shklovskij pubblicò “Vita intelligente nell’universo”) che di fatto si appropriò dell’idea originariamente di Agrest. Il sovietico, vivendo in una nazione intellettualmente ancora isolata dal resto del mondo, non poteva certo raggiungere la fama di Sagan, che pur mise a repentaglio la propria credibilità scientifica pubblicando numerosi articoli su riviste scientifiche e arrivando a dare alle stampe il romanzo di fantascienza “Contact”. Purtroppo anche Sagan, con l’avvento degli scrittori da strapazzo, si allontanò dall’idea iniziale e questo è stato certamente deleterio per la ricerca negli anni a venire.

Shamir, il laser di Mosè:

Agrest, dal canto suo, tornò nell’anonimato e dopo aver diretto, dal 1970 in poi, il laboratorio dell’università di Leningrado, nel 1992 emigrò con la famiglia negli Stati Uniti e visse a Charleston (South Carolina): qui poté finalmente confrontarsi con i colleghi statunitensi, dopo decenni d’isolamento patito in patria. Fu invitato a esporre le proprie convinzioni in una conferenza tenutasi a Las Vegas dal 2 al 4 agosto 1993 ed era la prima volta che capitava dal lontano 1959. Durante quel convegno Agrest sostenne che almeno una volta astronauti extraterrestri avevano visitato la Terra, aggiungendo che erano creature antropomorfe e che nell’universo vi erano molti pianeti abitati da esseri intelligenti. Nel 1995 pubblicò il volume “L’antico miracoloso meccanismo Shamir”, in cui identificava lo Shamir come uno strumento utilizzato per il taglio e l’incisione di pietre durissime. Lo Shamir era descritto nel Talmud (uno dei testi sacri dell’Ebraismo) come un “verme tagliente” – “…la Shamir (un verme che può perforare qualsiasi cosa difficile… usato per scolpire i nomi dei Shevatim sulle pietre del Choshen”. Pesachim 54°) – e nello Zohar (altro libro sacro degli Ebrei, importante per la tradizione cabalistica) un “tarlo metallico divisore”. Nella Bibbia, Geremia 17/1, è descritto come un diamante: “Il peccato di Giuda è scritto con uno stilo di ferro, con una punta di diamante è inciso sulla tavola del loro cuore e sugli angoli dei loro altari…”; lo stilo era la penna usata all’epoca per incidere sulle tavolette di cera: poteva essere una specie di raggio laser ricavato appunto da un diamante. Questo “verme di diamante”, adoperato per tagliare e forare, era considerato di natura divina e per questo motivo raramente affidato agli esseri umani. Agrest precisò che poteva essere stato descritto come un insetto a causa dell’errata traduzione della parola latina “insectator” (tagliatore), quindi scambiato per un “tarlo” perché praticava dei fori. Oggi, a sette anni [oggi undici, ndr Nexus] dalla sua morte, a ricordarne l’opera pioneristica, quale fautore della teoria degli antichi astronauti, è forse rimasto solo il figlio Mikhail, insegnante di fisica e astronomia al College di Charleston. Mikhail, sulle orme del padre, ha cercato di spiegare il fenomeno di Tunguska come l’esplosione di una navicella aliena. La figura di Agrest, questo temerario scienziato sovietico che cercò di squarciare il velo del silenzio, meriterebbe ben altra considerazione, soprattutto da parte di chi si occupa tuttora di queste problematiche.

Da:

Fonte: simonebarcellipaginaweb.wordpress.com/

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sabato 20 agosto 2016

CHEMTRAILS: NUOVE ANALISI SUI CARBURANTI AVIO


SEGNALATO DAL DR. GIORGIO PATTERA (BIOLOGO)

LA SCIENZIATA ULRIKE LOHMANN CONFERMA: RILEVATI BARIO ED ALLUMINIO NEI CARBURANTI AVIO

“Ulrike Lohmann è una docente di Fisica dell’atmosfera presso l’ETH di Zurigo ed è specializzata in nefologia. Nel 2013 la professoressa Lohman eseguì delle analisi presso l’aeroporto di Zurigo, insieme con l’Ufficio federale dell’aviazione. Gli esami erano finalizzati a stabilire la composizione chimica dei gas di scarico delle turbine. Fu reperita in primo luogo fuliggine che è essenzialmente carbonio, come nel gas di scarico degli autoveicoli. Non solo, furono rilevati sedici (16) diversi metalli tra cui bario ed alluminio, ma anche ferro, nickel, piombo, rame oltre al calcio.



 Le rilevazioni della scienziata elvetica sono una conferma che le analisi di combustibile Jet-A1, commissionate da Tanker enemy ad un importante laboratorio francese, furono falsificate. Abbiamo ora le dichiarazioni di un’esperta, Ulrike Lohmann. Ella dichiara di aver trovato metalli nei gas combusti degli aviogetti, ma anche nel carburante aeronautico. Tra questi metalli, ovviamente, si annoverano alluminio e bario. Che cosa abbiamo sempre sostenuto? I negazionisti hanno senza sosta asserito che non è possibile che i carburanti avio contengano bario ed alluminio; ora, di fronte ad acquisizioni inconfutabili, con la solita improntitudine, affermano che le concentrazioni di questi e di altri metalli non sono poi così elevate. Ammesso e non concesso che ciò sia vero, come ignorare il problema dell’accumulo, considerate le ingenti e quotidiane emissioni tossiche del traffico aereo? La composizione chimica delle emissioni di particolato non volatile dei motori aeronautici è stata studiata, usando la spettrometria di massa. I gas di scarico provenienti da tre diversi motori di aerei sono stati campionati ed analizzati. La stragrande maggioranza delle particelle analizzate ha mostrato di contenere carbonio elementare (fuliggine, vedi anche gli studi di Marvin Herndon). I composti metallici identificati erano tutti internamente mescolati con le particelle di fuliggine. I metalli più abbondanti nel gas di scarico erano Cromo, Ferro, Molibdeno, Vanadio, Alluminio, Bario, Rame, Piombo, Nickel, Manganese, Titanio, Zirconio. Sono stati individuati pure Calcio, Sodio, Silicio”.


By Tanker Enemy

Redazione Segnidalcielo

FONTE: OVERCAST PROF ULRIKE LOHMANN (ENGLISH) – ALUMINIUM AND BARIUM IN THE JET FUEL,


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martedì 16 agosto 2016

ORIGINE DELLA VITA E MICRO ORGANISMI ESTREMOFILI

Immagine aerea del Grand Prismatic Spring, nel parco nazionale di Yellowstone. La colorazione brillante è in parte dovuta alla presenza di termofili.


SEGNALATO DAL DR. GIORGIO PATTERA (BIOLOGO)

 “Un estremofilo è un microrganismo che sopravvive e prolifera in condizioni ambientali proibitive per gli esseri umani, ad esempio in ambienti che presentano valori estremamente alti o bassi di temperatura, pressione, pH o salinità”.

Da:

"Ecco Luca: è lui l'antenato di tutti gli esseri viventi". Gli scienziati scoprono un organismo unicellulare "chiave"

Potrebbe essere lui l'ultimo antenato comune a tutti gli esseri viventi, colui che c'era ancor prima che le specie si formassero e diversificassero. Si chiama LUCA o Last Universal Common Ancestor, è un organismo unicellulare risalente a 4 miliardi di anni fa e, secondo gli scienziati della Heinrich Heine University of Düsseldorf, riusciva a sopravvivere in ambienti vulcanici, privi di ossigeno e ricchi di minerali, in condizioni molto simili a quelle delle sorgenti idrotermali che ancora oggi esistono in alcune zone del pianeta. Lo Smithsonian sintetizza così la scoperta: "Ognuno di noi è evoluto a partire da un antenato unicellulare vissuto 4 miliardi di anni fa quando la Terra era solo una bambina". (Insomma deriveremmo tutti da un cosiddetto “estremofilo – alieno” – ndr MLR)

Scovarlo non è stato facile: i biologi hanno cercato tra oltre 6 milioni di geni appartenenti ad altri organismi unicellulari (Archaea e Bacteria), fino ad isolarne 355 che sarebbero appartenuti a Luca. Dall'analisi dei geni, hanno ricostruito il suo metabolismo e l'habitat in cui viveva. Un ambiente sicuramente inospitale per l'essere umano, ma in cui Luca è riuscito a sopravvivere: in assenza di ossigeno e a temperature relativamente elevate, questo organismo unicellulare si nutriva di anidride carbonica, azoto e idrogeno, sfruttando anche metalli come il ferro e altri elementi come il selenio. La notizia della scoperta, riportata sulla rivista "Nature Microbiology", ha fatto il giro del mondo e ha acceso un dibattito nell'ambiente scientifico. "Quando parliamo del metabolismo di Luca - ha commentato James McInerney, biologo dell'Università di Manchester - parliamo del metabolismo dominante e di maggior successo sul pianeta Terra prima che gli esseri viventi si dividessero in batteri e archea. Questo nuovo studio ci offre un'affascinante visione della vita risalente a quattro miliardi di anni fa'". Alcuni ricercatori, però, hanno preferito frenare l'entusiasmo e andare più cauti: "Il ritratto genetico di Luca è interessantissimo, ma non ha nulla a che vedere con le reali origini della vita sulla Terra", ha affermato John Sutherland, chimico alla University of Cambridge. Insomma, la ricerca deve andare avanti, ma una cosa è certa: "Stiamo vedendo qualcosa per il quale prima non c'era alcuna evidenza scientifica - ha spiegato William Martin, autore dello studio -. Soltanto ponendo la giusta domanda al genoma, siamo riusciti ad ottenere risposte molto interessanti".



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venerdì 12 agosto 2016

UN BOSONE "ZOPPICANTE" E...UNA PARTICELLA CHE NON C'E'



Nessun nuovo bosone di Higgs, la particella fantasma non c'è

“I dati raccolti nel 2015 facevano ipotizzare l'esistenza di una particella ancora sconosciuta. Ora il Cern la esclude. I ricercatori: ''Non siamo delusi, si è trattato di una fluttuazione statistica''. Mentre il Large hadron collider, potenziato, ha raggiunto risultati record per le accelerazioni di protoni, alla ricerca della Nuova fisica…”

UNA STRADA GIUSTA? OPPURE UN GRANDE SPRECO DI RISORSE PUBBLICHE? (NDR – MLR)


“NIENTE da fare, non c'è nessun ''nuovo bosone di Higgs''. Quella che poteva essere la nuova scoperta del secolo nel campo delle particelle quantistiche e che avrebbe potuto aprire la strada sperimentale a una ''nuova fisica'' si è rivelata una fluttuazione statistica, praticamente una ''coincidenza''. Così improbabile da far pensare agli scienziati del Cern di essere di fronte a una rivelazione tanto inaspettata quanto rivoluzionaria. L'Istituto nazionale di fisica nucleare ha reso noto i risultati della verifica sulle anomalie registrate nel 2015 in due dei quattro esperimenti del Large hadron collider all'apertura dell'Ichep, la conferenza internazionale di fisica delle alte energie di Chicago. Il possibile segnale di nuova particella di massa 750 GeV (gigaelettronvolt) che decade in due fotoni, era comparso negli esperimenti Cms e Atlas dell'acceleratore di particelle più grande del mondo, quando è stato rilevato un picco nella distribuzione della massa di due fotoni. L'ipotesi era che fosse il prodotto del decadimento di una particella ancora sconosciuta: ''Prendiamo i dati che vengono dalle collisioni che la macchina produce - spiega Leonardo Carminati, ricercatore del progetto Atlas e responsabile dell'analisi dei dati - e contiamo quanti sono gli eventi in cui si è prodotto uno stato finale, il decadimento in due fotoni ad alta energia. Alla fine dello scorso anno abbiamo osservato più eventi rispetto alle previsioni del Modello standard''. Un picco che poteva essere interpretato come la produzione di una nuova particella. L'analogia con la scoperta del bosone di Higgs, nel 2012, faceva ben sperare. Anche la ''particella di Dio'' fu individuata partendo da un eccesso di fotoni, per questo si pensava che potesse trattarsi di un ''cugino'', più grande di circa sei volte: 126 GeV il bosone di Higgs, la misteriosa apparizione ha registrato 750 GeV. Sarebbe stata, inoltre, la particella più massiccia mai osservata, molto superiore ai 173GeV del quark top (partendo dalla misurazione dell'energia, la massa si ottiene con la ben nota euqazione E=mc2 ). "La differenza con l'Higgs - continua Carminati - è che quella volta sapevamo che qualcosa avremmo trovato, c'era molta eccitazione. Questo caso era molto più ambiguo perché il 'Modello standard', una volta scoperto il bosone di Higgs, non prevede nient'altro e non ha crepe. Anche se spiega solo una minima parte di quello che possiamo osservare nell'Universo''. Il lancio della moneta. Senza essere stata confermata, la particella ''fantasm'' aveva già diversi nomi non ufficiali: ''mister Ics, Digamma, 750 o, semplicemente ''la cosa''. Per capire se si fosse trattato di una ''coincidenza'' statistica (''come lanciare per sei volte una moneta e ottenere sempre testa'') o la prova di qualcosa di eccezionale era necessario ripetere le osservazioni. Così la fantasia dei fisici teorici si è scontrata, infine, con la realtà dei dati del 2016, presentati alla conferenza di Chicago. ''Sapevamo che poteva essere così - commenta Marina Cobal, responsabile nazionale Infn dell'esperimento Atlas - ci tengo a precisare che non siamo delusi, anzi. Si è trattato di una fluttuazione statistica, noi sperimentali sappiamo che ogni tanto esistono questi ''scherzi'' del caso. Noi non abbiamo mai parlato di una nuova scoperta, comunque tutti gli studi che sono seguiti hanno il merito di aver elaborato idee nuove sulle quali lavorare''. I ricercatori non hanno fatto altro che continuare a lanciare quella monetina: con una statistica molto più ampia i risultati sono tornati nella media prevista. Alla notizia della anomalia la comunità scientifica si era subito scatenata: in pochi mesi sono centinaia gli studi già prodotti per teorizzare la natura della particella fantasma, fino a ipotizzare anche che potesse trattarsi del gravitone, il responsabile della forza di gravità. Questo dimostra la portata della rivoluzione che ne sarebbe potuta derivare, che avrebbe in qualche modo permesso di superare quel modello standard che funziona benissimo nello spiegare le osservazioni di fisica subatomica fatte finora, ma che non spiega la forza di gravità e non è compatibile con la relatività generale di Einstein.
Nel frattempo, il Large hadron collider del Cern ''accelera'': dopo il potenziamento che permette collisioni a energie pari a 13TeV , ha raggiunto una ''luminosità'' superiore alle previsioni con 2.000 pacchetti di protoni a ogni fascio e ottenendo più di un miliardo di collisioni ogni secondo. È anche grazie alle nuove possibilità dell'Lhc che sono stati verificati i dati del 2015 ma, cosa più importante, continua a Ginevra la ricerca di fenomeni non previsti proprio dal Modello standard delle particelle elementari: ''Non ho mai visto così tanti risultati così velocemente, questa macchina ha battuto ogni record, in pochi mesi abbiamo cinque volte i dati ottenuti in tutto il 2015 - sottolinea Cobal - alla conferenza Chicago presenteremo più di 100 studi da Atlas e Cms grazie ai dati ottenuti da fine aprile. Questo ci fa ben sperare per il futuro''.
Verso la ''Teoria del tutto''. I dati raccolti a 13 TeV permettono di estendere la ricerca di Nuova Fisica attraverso nuove particelle rilevate dai loro decadimenti in particelle conosciute o in energia mancante, come quella prodotta da neutrini o potenzialmente da materia oscura. ''Alla fine il sogno è quello di avvicinarsi alla teoria che unifichi tutte le forze che conosciamo e che risponda a tutte le domande alle quali Modello standard non riesce a rispondere - conclude Cobal - per esempio, ora abbiamo abbastanza statistica per studiare a fondo il bosone di Higgs perché potrebbe nascondere qualche segreto che non corrisponde al Modello standard. Se c'è nuova fisica raggiungibile con queste energie, la troveremo''.



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lunedì 8 agosto 2016

VITA EXTRATERRESTRE: SCOPERTA GIA' DA ALMENO QUARANT' ANNI !


DEL DR. GIORGIO PATTERA (BIOLOGO)

Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico...
Beh, in questo caso non si tratta di un nemico vero e proprio, ma di un "cover-up", sì: la NASA, tanto per cambiare...

Ci amareggia (da un lato) e, nello stesso tempo, ci lusinga (da un altro) ricordare a chi ci conosce, ci segue e ci apprezza dal 1998 che, durante il 1° (e finora unico...) "Corso di Esobiologia" mai realizzato in Italia e tenuto dai ricercatori di "GALILEOPARMA" nell'ormai lontano 2002, lo scrivente aveva illustrato le prove bio-fisico-tecniche, ottenute dalla sonda Viking nel 1976, della presenza sul pianeta Marte, in un lontano passato, di Vita "quale-noi-la-conosciamo", per lo meno a livello di forme batteriche. Non solo: in seguito, le missioni spaziali Pathfinder (1997), Opportunity (2004), Mars Express (2006) e Phoenix (2008), prima, e del rover Curiosity (2012), poi, certificarono, sempre nel lontano passato del Pianeta Rosso, la presenza di acqua allo stato liquido, elemento indispensabile, come la Biologia insegna, alla comparsa, allo sviluppo ed alla permanenza di qualsiasi forma di Vita.

Giorgio Pattera - Biologo
Vice-Presidente Centro Culturale di Ricerche Esobiologiche "GALILEO" - Corcagnano (Parma)
Coordinamento Commissione Scientifica CUN.

"Gli alieni li scoprimmo 40 anni fa.."…




I marziani? L'uomo li ha scoperti già 40 anni fa, pur senza accorgersene. E lo stesso uomo non ha voluto accorgersi della strepitosa scoperta neppure a un successivo controllo delle prove. È la teoria, suggestiva e intrigante, di Glibert Levin, convinto che i microrganismi marziani, di fatto, ci stiano prendendo in giro ormai da 40 anni. Il signore è altrettanto convinto che su Marte la vita ci sia, eccome. Ma chi è, Gilbert Levin? Chi pensa che sia uno svitato si sbaglia di grosso: lui è l'uomo che ha ideato gli esperimenti a bordo dei Viking, le sonde della Nasa che proprio 40 anni fa, nell'estate del 1976, realizzarono una missione storica, dalla quale discendono tutte quelle successive. 


Un cervellone della Nasa, dunque, il signor Levin, che oggi ha 92 anni e racconta la sua teoria a La Stampa, in una lunga e strepitosa intervista: lui è l'ultimo sopravvissuto di quella eroica generazione di ingegneri spaziali. Alla base della sua teoria, il test Labeled Release: "L'esperimento Lr - spiega al quotidiano torinese - era basato su un procedimento simile a quello usato per il controllo dell'acqua potabile e al quale, credo si ricorre anche in Italia.


 Un piccolo campione d'acqua viene iniettato in una provetta di liquido nutriente: se ci sono dei microrganismi, questi metabolizzano i nutrienti stessi e sprigionano bolle di gas che rappresentano la prova della contaminazione microbica". Levin spiega che "al terreno marziano (rispetto alla versione "terrestre", ndr) ha aggiunto solo più nutrienti, nella speranza che almeno uno di questi venisse metabolizzato, e li ha contrassegnati con il carbonio radioattivo, così da rendere i gas liberati più facili da individuare". E " quando a una minuscola porzione di terreno del pianeta venne iniettata del nutriente radioattivo, si notò che subito venivano emessi dei gas. Il processo - ricorda - si verificò con grande rapidità per i primi tre giorni e poi, più lentamente, nel corso dei successivi quattro dell'esperimento. Questo risultato, da solo, sarebbe considerato una prova dell'esistenza di microrganismi viventi da parte di qualunque ente sanitario. Tuttavia, volendo essere più cauti, aggiungemmo un ulteriore elemento di controllo". Qui, se possibile, il discorso si fa ancora più complesso. Questo elemento era "un trattamento approvato dalla Nasa in grado di uccidere qualunque microrganismo presente, ma tale da non distruggere i possibili agenti chimici alla base del responso positivo. Applicammo questo controllo cruciale e risultò negativo, soddisfacendo così i criteri per l'individuazione delle vita". Vita su Marte, dunque. Ma c'è un grosso "però". Continua Levin: "Sebbene sul Viking ci fossero tre apparati per la ricerca della vita, il test Lr è stato l'unico a dare una risposta positiva dal punto di vista biologico. Nel selezionare i test, tuttavia, la Nasa aveva spiegato che erano tutti diversi tra loro e che, se ci fosse stata vita su Marte, sarebbe stato sufficiente l'esito favorevole di uno solo. Mentre il nostro esperimento utilizzava l'acqua, gli altri non lo prevedevano". Dunque, l'ingegnere aggiunge di aver compreso con esattezza che su Marte erano presenti forme di vita soltanto dieci anni dopo. Poi, dopo altri sette anni, "sono arrivato alla conclusione che il test Lr abbia davvero individuato attività microbica sul suolo marziano". Poi, spiega Levin, a sostegno del test sono arrivati i dati della sonda Phenix e del rover Pathfinder e Curiosity. La disputa, negli anni, si è giocata dunque sull'attendibilità del test Viking. Per dimostrarla, Levin sta lavorando a stretto contatto con l'astrobiologo Barry Di Gregorio: insieme stanno conducendo uno studio specifico su rocce marziani. "Sebbene la Nasa avesse respinto in un primo tempo l'idea, lo studio è iniziato solo nel maggio 2016 (...). Al momento, però, la Nasa non ha reso noto alcun risultato". Dunque, Levin conclude spiegando che è solo questione di tempo, poi arriverà l'annuncio ufficiale. "Sono sicuro che ci sia vita su Marte. Deve essersi adattata per colonizzare il pianeta, proprio come mi è avvenuto sulla Terra. Mi sorprendono quegli scienziati che non credono che Darwin funzioni anche su Marte!".

DA:

http://www.liberoquotidiano.it/news/scienze---tech/11939135/marte-gilbert-levin-marziani-scoperti-40-anni-fa-viking.html?refresh_ce

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DI MARCO LA ROSA
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